La specializzazione precoce è quella che s’impone a un bambino, che vede e pensa solo ciò che è presente e non ha ancora le strutture per imparare, ragionare e fare come l'adulto. E deve ancora scoprire le qualità e facoltà fisiche e mentali necessarie che, prima dei dieci, undici anni, si rivelano nel gioco libero attraverso sperimentazioni ed errori.
La specializzazione precoce. Prima parte
Per trattare quest’argomento, occorre prendere confidenza con un concetto: un bambino non è materia alla quale dare forma secondo un modello ideale, ma una potenzialità che soltanto lui può scoprire e sviluppare. E l’istruttore può soltanto creare le condizioni perché lo faccia da solo perché, con le sue misure, nei casi più felici, forma sportivi tutti uguali, ma non quello possibile. Ha, invece, una funzione fondamentale nei confronti del carattere e della mente, perché deve formare un soggetto autonomo che conosce, pensa, decide e si sa amministrare, e per un giovane è un modello da copiare.
La specializzazione può iniziare dagli undici, dodici anni, con l’acquisizione del pensiero astratto, che permette di lavorare per obiettivi lontani. Il giovane ha scoperto e collaudato tante qualità, e impara a coltivarle anche in vista di progetti concreti. Può scoprire il senso del gruppo, la collaborazione e ciò che compete perché il gioco diventi intesa, adattamento reciproco e creatività e, quindi, collettivo. Sviluppa la critica per selezionare e ordinare le acquisizioni perché diventino conoscenze stabili, e impara a superare ciò che gli è insegnato. Se, invece, l’istruttore da indicazioni esatte e complete, raggiunge le abilità comuni, ma non il talento, che è diverso per ognuno.
La specializzazione precoce espone a molti inconvenienti. Chiede l’imitazione del gesto completo, di solito la prodezza del campione, e rinuncia a quello permesso dalle possibilità di ognuno, che è il migliore. Nei giochi di squadra, ostacola l’acquisizione del collettivo, perché il bambino gioca per sé e non è pronto per la collaborazione. Vuole insegnare subito, e con le parole, i gesti tecnici ideali e la tattica degli adulti quando l’allievo non ha ancora scoperto il talento e gli mancano i mezzi fisici, mentali e psicologici per trasformarli in automatismi.
Costruisce il giocatore sul poco invece di aspettare quando sarà pronto. In questo modo ne frena le motivazioni chiedendogli prestazioni non ancora possibili e lo valuta per cosa non riesce a fare, mentre il giovane ha bisogno di essere apprezzato per cosa gli è possibile, e acquisire sicurezza e coraggio per tentare il nuovo. Non sviluppa l’iniziativa personale, che è il percorso verso il talento, perché chiede di applicare precise istruzioni, rileva e condanna l’errore invece di premiare l’intenzione, rende cronica la paura di sbagliare e limita la sicurezza per avventurarsi nel nuovo. Così, lo abitua ad affidarsi, frena gli automatismi e chiama in causa il ragionamento per evitare l’errore.
Non insegna a imparare, perché le istruzioni non discutibili consentono solo precise esecuzioni, ma Il giovane deve partecipare all’apprendimento con pareri e contributi personali. Almeno nell’allenamento, deve essere chiamato ad assumere decisioni proprie, partecipare alla ricerca delle soluzioni e abituare a fare da solo, altrimenti non impara a farlo in gara. Ostacola l’acquisizione del collettivo, che è un dialogo senza parole che coinvolge tutti nello stesso tempo, un'iniziativa comune che si sviluppa con tutta la squadra, e in cui ognuno propone e risponde sapendo di essere capito e non è mai solo di fronte alla difficoltà. E, soprattutto, è l’intesa che nasce dal pensare e trovare insieme le soluzioni in gara e fuori, dal creare e partecipare alle creazioni degli altri, trovare nuove possibilità di gioco e applicarle insieme.
Infine, penalizza il talento. L’apprendimento passivo, l’obbligo di vincere, la condanna della sconfitta e l’abitudine a soffermarsi sull’errore invece di analizzare e fissare nella mente le fasi positive, impongono di non rischiare il nuovo e di impiegare solo ciò che serve subito, ma obbliga a giocare solo per non sbagliare e non ha sviluppi.
Vincenzo Prunelli
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