Formazione

Non si trovano più tanti convinti che, per essere autorevoli basti imporre regole ferree ed essere rigidi nel farle osservare, sapere tutto in modo che nessun allievo li possa contestare o dimostrare che un giovane non deve sapere ma soltanto imparare.

Per mantenersi autorevoli

Non è facile né possibile a tutti, ma l’autorevolezza si conquista e non s’impone. Lo sport, a differenza della famiglia e della scuola, che devono chiedere rinunce e vietare comportamenti, piace e permette di divertirsi. È più raro, quindi doversi opporre a posizioni polemiche o reattive, ma anche qui ci si può trovare di fronte all’arrogante e allo strafottente, che sono il talentino spesso esaltato dai genitori, che pretende maggiori riconoscimenti, o chi porta ciò che ha acquisito fuori.  

Per far fronte a queste difficoltà, bisogna scoprire, o anche solo capire, che cosa cercano questi ragazzi. Innanzitutto, a differenza di ciò che si crede, mostrano insicurezza, e il modo migliore per sentirsi forti è negare autorità all’adulto che ritengono debole. L’arroganza e la strafottenza sono vie traverse per sentirsi importanti senza doversi mettere alla prova, ricerca di autostima in comportamenti e atteggiamenti che allontanano, ricerca dei primi posti non per abilità o meriti, e allora l’istruttore li coinvolga e accolga i loro contributi perché trovino modi più validi per sentirsi valorizzati. Assegni compiti che richiedono responsabilità, anche se subito sarebbe più utile affidarli a quelli più responsabili. Non lo faccia soltanto per loro, ma crei un clima nel quale tutti si sentano accolti e partecipi, perché sapere di essere accettati anche dai compagni per ciò che si fa, è una forma efficace d’incoraggiamento e uno stimolo a imitare i più bravi.

Poiché questi comportamenti nascono dal bisogno di superare un disagio personale, l’istruttore è portato a tenerli in una posizione in cui non possano nuocere, ma intanto li allontanano. È, invece, giusto ridurre le distanze, anche se tanti sono contrari, perché gli allievi approfitterebbero. “Se gli dai la mano, ti prendono il braccio”, si dice ancora, ma l’autorevolezza è il legame più solido, e chi te la riconosce, ti segue perché ti stima, e non per obbligo o inerzia.

C’è chi crede che l’unico sistema sia usare il pugno duro, perché cedere di fronte a un ragazzino sia una debolezza. Essere autorevoli, però, non significa adottare metodi troppo teneri e permissivi per tirarli dalla propria parte significhi e renderli più sfrontati. Qualcuno cade in qualche ingiustizia, o magari soltanto disinteresse, nei confronti dei ragazzi malleabili o in inutili tolleranze nei confronti di chi è più sfrontato, e commette due errori. Il primo, che i ragazzi che si comportano bene vanno trattati con rispetto, altrimenti non danno ciò che potrebbero. Il secondo, che quelli che creano problemi, approfittano della debolezza dell’istruttore per andare più oltre e, per quelli più suggestionabili, possono diventare modelli da imitare.

E allora non punirli? La punizione guasta sempre i rapporti, e al massimo, porta a una finta obbedienza. L’istruttore stabilisca regole chiare e non eludibili, che è il modo più efficace per essere autorevoli. Consideri ognuno responsabile dei propri comportamenti, e pretenda che ne debba affrontare le logiche conseguenze. Stabilisca patti chiari, ma non minacciosi che qualcuno potrebbe intendere come sfide, ma lo faccia prima che pensino di poter trasgredire perché, dopo, subire una punizione, che procura sempre risentimenti e desiderio di rifarsi.

Oppure lasciarli fare? Stabilisca insieme con tutti delle regole non trattabili e conseguenze certe. Per esempio, chi arriva abitualmente in ritaro agli allenamenti, recupera la parte persa mentre gli altri se ne possono andare. Se in gara ha comportamenti inopportuni o violenti, è sostituito per non incorrere in un’espulsione. O, se per le trasferte si parte a un’ora stabilita, non si aspetta chi si sente in diritto di farlo perché se lo può permettere.

E se, nonostante tutte le attenzioni non cambia, se ne fa a meno, perché uno non può impedire il lavoro a tutti.

Vincenzo Prunelli

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