Formazione

Un tempo si diceva più spesso che per fare collettivo basta giocare insieme per molto tempo, che in parte è anche giusto, perché i giocatori si conoscono sempre più a fondo, ma non basta. Occorre lavorarci da molto prima e parlare di ciò che lo ostacola.

La mentalità per il collettivo.

Lo sportivo adulto non si forma insegnandogli cosa fare, ma eliminando ciò che ne ostacola lo sviluppo. Diceva Sergio Vatta: “Il talento è dentro di ognuno, nessuno ce lo può costruire e ha soltanto bisogno che sia eliminare tutto ciò che lo imprigiona”.

Non è il luogo per farne un’esposizione scorrevole, ma soltanto di compilarne un elenco di ciò che è necessario valutare. Innanzitutto, la cultura dell’esecuzione, o il dire come fare e aspettarsi una giusta riproduzione, che è l’opinione dell’istruttore non adattata ai mezzi e all’iniziativa dell’allievo, che significa lasciare che eserciti le doti migliori del proprio talento. È, però, anche altro, perché il collettivo è creatività, intuizione e scelta immediata delle soluzioni, capacità e disponibilità a fare insieme, tutte qualità e attitudini che non si impongono, ma si lasciano sviluppare.

L’agonismo esasperato, e quindi la paura di perdere, l’adrenalina come stimolo, la sostituzione della lucidità con l’approssimazione e la frenesia. Alla base c’è l’assillo del risultato comunque conseguito e la condanna per la sconfitta, che costringe a ripetere i gesti acquisiti e sconsiglia di tentare il nuovo, che è l’unica via per arrivare al talento. Chi ha dubbi, predilige il furore agonistico e ha fatto sport pensi alla gara più bella che ha giocato, e non troverà nessuna di queste condizioni, ma il contrario, cioè la sicurezza di potersela giocare, l’assenza di paura e la certezza dei propri mezzi.

La specializzazione precoce, che dice che cosa e come fare prima che il giovane abbia scoperto le qualità di cui dispone, e chiede di fare cose per le quali non è preparato perché sono ancora estranee alla sua età. Quando un giovane è costretto a fare cose per le quali non è pronto, gioca soltanto per eseguire e non sbagliare, non tenta nulla di cui non è sicuro e cerca compagni per liberarsi di una difficoltà, ma non impara a fare con loro. E, soprattutto, non tenta il nuovo, dove deve ricorrere al proprio talento.

Le differenze tecniche e intellettive tra gli elementi della squadra, che non sono del tutto eliminabili ma, anche se qualcuno parla di selezione, dove è possibile, è opportuno, formare squadre omogenee. Si sentono, per esempio, genitori che si lagnano perché il figlio non gioca nella squadra migliore, ma non essere all’altezza dei compagni significa non imparare nulla da loro, essere esclusi e abituarsi a sentirsi inadeguati. È sport quando si può vincere e perdere e, quindi, quando si gioca alla pari, altrimenti ne soffrono quelli che non sono all’altezza degli altri.

Più tardi, la competizione per il posto in squadra è inevitabile, ma accentuarla porta a giocare soltanto per essere migliore del compagno e magari anche danneggiarlo, mentre occorre abituarlo a scoprire le abilità per arrivare al proprio possibile. L’eccessiva concorrenza per il posto in squadra stimola la resistenza a mettere le proprie capacità al servizio di tutti e a tentare soltanto di valorizzare se stessi. Il collettivo è intesa e ricerca di collaborazione e altruismo, ed è impossibile pretenderlo tra compagni che giocano per contendersi un posto in squadra.

I trattamenti diversi secondo l’utilità e il valore tecnico, che creano conflitto e stimolano a soddisfare i bisogni personali in contrasto con quelli collettivi. Giocatori che hanno ricevuto formazioni troppo diverse tra loro, specie per quanto riguarda l’autonomia, l’iniziativa personale, la capacità di “pensare” sulla stessa onda dei compagni e fare insieme, hanno bisogno di molto più tempo per conoscersi e adattarsi reciprocamente. E altri, preparati a essere puri esecutori e non allenati al pensiero creativo di gruppo, devono essere prima portati a un metodo di lavoro comune e all’osservanza delle regole che rendono attuabile un collettivo.

Non è tutto lì. Non si è parlato di come allenare una mente adatta al collettivo. Occorre formare soggetti allenati a imparare, pensare e a produrre da soli e in gruppo; preparati a usare le motivazioni, le potenzialità e tutti gli elementi emotivi e intellettivi; responsabili e consapevoli delle norme condivise che armonizzano i comportamenti, la creatività e le iniziative di tutti; e capaci di essere produttivi in ogni momento dello sport e a mettere le proprie capacità al servizio di tutti.

In pratica, si parla di una formazione che consideri i caratteri del singolo, li sviluppi e li porti a una condizione di autonomia, iniziativa e libertà creativa. E qui il discorso sarebbe troppo lungo.

Vincenzo Prunelli

Ti è piaciuto questo articolo?

Forse vuoi leggerne altri... Ecco alcuni articoli che hanno un argomento simile:

Tehethon