Formazione

A volte, i giovani assumono iniziative impreviste e non concordate, e l’intervento più logico sarebbe fermarli e riportarli a quanto si era insegnato. Non hanno ancora le conoscenze necessarie per districarsi da soli e trasformare un’iniziativa mai provata in un’azione concreta, ma è il caso di lasciarli liberi di provare.

Provare è solo un rischio?

A volte lo è, e i giovani troppo incerti non ripeteranno più la stessa azione, mentre quelli più disinvolti o che hanno adottato una soluzione logica, capiranno dove hanno sbagliato e la prossima volta la ripeteranno cercando di correggere gli errori.

Che cosa fare se sbagliano? Si parla di provare che, in questo caso, non vuol dire sbizzarrirsi in stravaganze, ma cercare, dove è possibile, una soluzione migliore. E neppure mettere in discussione gli insegnamenti dell’istruttore, ma cercarne una più funzionale secondo ciò che richiede la situazione. Le iniziative velleitarie e prive di finalità logiche sono perlopiù tentativi di stupire per ottenere una considerazione che manca o, addirittura, una ribellione mascherata. Se, invece, il tentativo è insensato per i mezzi fisici e tecnici, ma ha una logica, nulla vieta di parlarne insieme, in modo che l’allievo capisca, lo riveda o non lo ripeta. Un istruttore che insegna in modo che gli allievi imparino anche da soli ha molti modi per capire se un’iniziativa è razionale. Innanzitutto, si aspetta sempre che un allievo ci metta qualcosa di proprio, perché l’iniziativa personale sviluppa il talento, e l’originalità e la creatività consentono di andare oltre ciò che si è già acquisito. E l’allievo che è allenato a cercare sempre la soluzione più adeguata può non riuscire al primo tentativo, ma va sempre nella direzione giusta.

È necessario, quindi, che un giovane provi il nuovo, anche se potrebbe sbagliare. Si sta sperimentando, e non soltanto nello sport, e per questo è lui che deve decidere che cosa fare. Con lo sport, se è libero di trovare da solo la soluzione più adatta a ciò che sta avvenendo, può scegliere i gesti e le soluzioni possibili al suo talento, che si scoprono soltanto quando si deve neutralizzare una difficoltà imprevista e non ancora conosciuta, oppure per sviluppare un’iniziativa mai provata. Si può dire che l’insegnamento assume sempre come modello il gesto migliore, ma ormai dovrebbe essere chiaro che ognuno ha il proprio talento diverso da quello di tutti. Il gesto del campione si può imitare, ma non riprodurre fedelmente, perché è solamente suo, mentre quello adatto ai propri mezzi è sempre più efficace del tentativo di copiarne uno perfetto. O, in altri termini, il gesto del campione è un modello da non ignorare che può dare suggerimenti allo sportivo che non lo è perché li usi per adattarli ai mezzi di cui dispone.

Questo comportamento educativo non significa lasciare un giovane libero di sbagliare e costruire sull’errore e, in particolare, di trasgredire le indicazioni dell’istruttore, che è sempre pronto a intervenire se non riesce a superare la difficoltà senza un aiuto. Ci sono anche altri motivi per lasciare che il giovane, specie se è ancora bambino, faccia da solo e provi il nuovo anche quando non è sicuro di riuscire. L’istruttore che apprezza e autorizza anche i tentativi sollecita tutte le su motivazioni: lo incoraggia e lo rassicura di meritare fiducia, di saper procedere da solo e sentirsi apprezzato, di scoprire e verificare i propri mezzi, di avere risorse anche di fronte alle difficoltà, di poter essere creativo e assumere iniziative libere e, quindi, di essere più simile all’adulto.

Qualche considerazione. Il giovane cerca di consolidare la sicurezza, che non gli viene dalle soluzioni offerte da altri, ma dalla constatazione di trovarle da solo. Se ha solamente le soluzioni di altri e non si allena a trovare le proprie, saprà e farà quasi unicamente ciò che avrà imparato, e questo, in uno sport che dovrebbe essere anche formativo per la persona, produce sportivi incompleti, frenati e non abituati all’iniziativa personale. Lasciare gli allievi liberi di fare significa averli dalla propria parte mentre, pretendere di farli sempre correre su un filo è come autorizzarli a fare di testa loro. In ogni situazione, il giovane che arriva alla conclusione percorrendone tutti i passaggi, la sente propria, non la perderà più e non si vorrà opporre. Si esercita a riflettere come l’istruttore, e, soprattutto, si abitua a pensare e cercare nuove soluzioni insieme con gli altri anche in gara.

Vincenzo Prunelli

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