Formazione

I conflitti tra istruttore e genitore non sono quasi mai aperti, perché è pur sempre il primo che decide, ma sono abbastanza frequenti. L’uno è abbastanza pronto ad augurarsi di allenare una squadra di orfani, e ii secondo a essere la voce critica con gli altri genitori e dare consigli a casa perché il figlio non è ben allenato. Lo sport, però, interessa allo stesso modo la persona e lo sportivo, e l’istruttore e il genitore non possono essere diseducativi annullando le rispettive funzioni.

Genitore e istruttore, meglio insieme che contro

Quando istruttore e genitore sono in conflitto, non succedono mai cose troppo gravi, ma la logica dice che otterrebbero molto di più unendo le forze. Occorre, però, che entrambi tengano conto che i giovani hanno molti caratteri in comune che vanno conosciuti e trattati allo stesso modo.

I primi stimoli, come stiamo vedendo in questi periodi con la Nazionale di calcio, sono il piacere e l’interesse per com’è proposto lo sport. Roberto Mancini dice: “Divertitevi e sentitevi tutti partecipi”, e parla di calma e lucidità, e mai di furore o frenesia, tensione e partite da angoscia, che sono i veri avversari del rendimento.

Poi, occorre considerare i momenti dello sviluppo. Prima dei dieci, undici anni, lo sport è un gioco che consente di imparare dalle proprie iniziative senza imitare tracce copiate dai vari campioni o eseguire ordini non capiti che non si adattano ai mezzi di ognuno. Ciò non significa che l’istruttore non possa insegnare purché, però, non imponga, ma prospetti e spieghi una soluzione migliore, e poi consenta di metterla in atto secondo la propria libera iniziativa. Non si rischia di lasciar assumere soluzioni e gesti sbagliati, perché in questo modo si arriva da soli a quelli più efficaci, che diventeranno automatici. Con questi metodi si escludono la specializzazione precoce, la semplice esecuzione, il sacrificio e la fatica. Dopo gli undici, dodici anni, si può parlare di vera formazione, perché il giovane inizia a progettare il futuro, ed è pronto per il lavoro, anche se non dà piacere e soddisfazioni immediate.

Educare alla libertà. Un giovane deve poter sbagliare nel tentare nuove soluzioni, interpretare gli insegnamenti secondo le proprie opinioni; non sentirsi condannato per un errore quando tenta un’azione personale. L’istruttore deve parlare, ascoltare e valutare le opinioni prima di dare le soluzioni, in modo da aiutarlo a trovarle da solo. Qualche volta occorre correggerlo, ma non con le punizioni, che creano desiderio di rivalsa o anche ostilità. Per questi casi, è opportuni stabilire prima, e insieme, delle conseguenze come fossero patti tra adulti da rispettare, in modo che l’elusione o la trasgressione portino sempre a una rinuncia o a uno svantaggio.

Chiedere soltanto ciò che è possibile. La convinzione di chiedere più di ciò che è possibile o, in altri termini, far leva su ambizioni spropositate, cioè chiedere cento per avere almeno ottanta, può sembrare una buna stimolazione per ottenere impegno, ma non si può dare più di ciò che si ha. Sembra di dare più determinazione e coraggio, ma un giovane li trova quando sente di migliorare mentre, non riuscire a soddisfare la richiesta di un adulto è vissuto come incapacità, inadeguatezza o, peggio, colpa, tutti sentimenti che tolgono sicurezza e iniziativa.

Insegnare a imparare da soli. Sembra impossibile imparare da soli qualcosa che non si conosce, e allora diciamo aiutare ad arrivare da sol alle soluzioni. Per questo, la prima regola è porre richieste adeguate all’età e alle possibilità. L’obiettivo è permettere al giovane di percorrere tutto il tragitto verso la conoscenza, che è la condizione perché non la perda più e si abitui a trovare da solo quelle che gli servono. Il modo non è dare la soluzione, ma solo gli elementi per arrivarci da solo, assisterlo mentre prova e intervenire soltanto per dare un’opinione o non ce la fa da solo. Informare su dove si vuole arrivare e sulle ipotesi da valutare, rispondere alla curiosità e al desiderio di sapere perché possa partecipare, chiarire gli obiettivi e lasciare che trovi i percorsi appropriati per raggiungerli. E, infine, confermare la validità delle sue opinioni affinché si senta valorizzato anche solo perché le propone e acquisisca la certezza di saper imparare. Si può pensare che serva soltanto per imparare meglio, ma il giovane rafforza l’autonomia, verifica il valore e la correttezza delle proprie opinioni, acquisisce responsabilità nei confronti dei compagni e si abitua all’iniziativa libera anche nell’attività sportiva. Acquisisce coraggio per tentare il nuovo anche quando c’è il rischio dell’errore. Impara a non esser troppo azzardato e a correggersi, perché può contare sulla verifica degli altri. E, importante, esercita critica e creatività, così che partecipa a una formazione e non a un addestramento.

Lavorare sui mezzi di ognuno. Significa cercare di costruire lo sportivo possibile e non una copia mai riuscita del campione, che lo è perché non è imitabile. Ognuno arriva al proprio massimo impiegando al meglio i propri mezzi mentre, usandoli per compiere un gesto impossibile o trovare una soluzione fuori portata per la creatività e l’ingegno di cui dispone, è impedirgli di misurarsi al livello che sarebbe possibile.

Uno scritto troppo lungo invita a non leggerlo, e gli argomenti sarebbero ancora tanti. Si consiglia di cercarli nel sito su “autori”.  Fermiamoci ad alcune considerazioni: il metodo educa alla libertà da concedere quando i giovani non la conoscono ancora ma, se la associamo alla responsabilità e alla correzione, non riserva sorprese. Non chiede fretta, perché lo sviluppo procede per gradi, e ogni età va trattata per quello che può dare. Lascia che i giovani risolvano i loro dubbi, siano liberi di esplorare percorsi nuovi, sbagliare e individuare i modi più utili per scoprire ed esprimere il loro talento. Accetta che sbaglino per superare i loro limiti, perché il coraggio, la sicurezza e l’autonomia richiedono di potersi misurare anche con il rischio di un errore. Non nasconde le difficoltà per liberarli dalla paura e non le accentua per stimolare un maggior impegno perché, se per rassicurarli le sminuisce o le accentua, non li prepara ad affrontarle. Apprezza ogni realizzazione o intenzione pro­duttiva, affinché si rassicurino sulla validità delle loro inizia­tive e si sentano approvati non tanto per i risultati quanto per ciò che fanno per conseguirli.

Non dà soluzioni, ma lascia che le trovino, decidano da soli e le mettano in pratica, e li spinge ad affrontare campi nei quali mostrano minori attitudini per valutare i progressi, e la capacità di superare i limiti e scoprire nuove possibilità di azione. Li considera responsabili delle azioni e dei com­piti adeguati all’età e lascia che, dentro precisi principi, li affrontino e li risolvano se­condo proprie concezioni, ma pretende che rimedino agli errori.

Vincenzo Prunelli

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