Fiducia è un termine che si usa troppo facilmente. Non lo è se si vuole dare a parole per procurare una reazione positiva, offrendo opportunità non ancora meritate, che è semplice manipolazione, e non un riconoscimento vero, o insistere a chiederne il rispetto, perché continuare a riproporla significa fingere e non averla. Non è un modo di dire per stimolare un giovane a impegnarsi, ma un elemento essenziale e reciproco del rapporto, che si ha e si dà e va meritata da entrambe le parti. Non si dà a parole come in una specie di cerimoniale né al bisogno, ma si avverte nel comportamento abituale e, quindi, è da vivere, e non da enunciare. E una cosa è tradirla non rispondendo com’è atteso, e un’altra non riuscire a soddisfarla.
La fiducia, lo stimolo più efficace
Il giovane sviluppa fiducia in sé con la consapevolezza dei propri mezzi e l’apprezzamento che riceve. Averla significa certezza di essere sempre adeguati, e si avverte come benessere, sicurezza, coscienza di come si sta, di dove si vuole andare e di avere possibilità, capacità e limiti ben definiti, ma anche risorse per superarli. Nello sport, come ovunque, è lo stimolo più efficace che non permette di andare oltre i propri limiti, ma di occuparli interamente.
Avere fiducia in sé vuole dire vedere che si può, si è sempre più abili e resilienti, risollevarsi dopo un evento negativo o una sconfitta e non doverne patire. È uno stato evoluto e maturo, mentre un’autostima traballante, sempre da recuperare con qualsiasi mezzo per illudersi di essere nel gruppo di testa, è un limite che non si considera, ma è in mezzo a noi.
Dire come fare a dare fiducia sembra semplice, perché basta una valutazione favorevole, ma nella pratica è facile scivolare in un giudizio interessato e in una manipolazione, perché la fiducia è da vivere in chi la offre e in chi la riceve e, se c’è o no, si avverte subito. Non basta fingere di riconoscerla già al bambino quando non ha ancora fatto nulla per meritarla o garantirla all’adulto quando si spera che s’impegni o esegua bene ciò che gli è richiesto.
Si dimostra, invece, quando si permette a un giovane di essere libero di fare con le proprie idee, s’interviene soltanto per aiutarlo a trovare le soluzioni quando gli manca una conoscenza e si parla chiaro quando commette un errore inaccettabile. Si concede, quindi, tutta l’autonomia possibile, ma s’interviene quando non ce la fa da solo. Si rilevano i pregi, ma non s’ignorano i difetti o le mancanze, perché un giovane che sa di avere la libertà di fare come ritiene opportuno e va incontro a conseguenze inevitabili per le trasgressioni e deve rimediare agli errori, si sente rispettato, accetta e diventa più responsabile, perché risponde come si fa in un patto tra adulti. Non si “sgrida” né s’incolpa, che sa sempre di punizione e di sfiducia, ma si parla e si spiega, che permette un rapporto adatto per riflettere, confrontarsi, elaborare situazioni già vissute, vivere il momento presente e individuare obiettivi futuri.
Infine, una considerazione che può non piacere. Troppi genitori mettono i figli al centro di ogni interesse, fino a sostituirsi nei desideri e nelle decisioni. Dicono di farlo per amore, ma nella realtà è la più grande manifestazione di sfiducia, perché soffocano l’autonomia e non chiedono responsabilità.
Per dare fiducia nello sport, innanzitutto, non si può trattare un allievo in un modo oggi e in un altro domani, perché la fiducia non è una scelta per un momento o per uno scopo, ma una porta sempre aperta, nella quale un giovane entra soltanto quando sa di essere rispettato.
Nello sport, avere fiducia non vuole dire pretendere che uno sportivo vinca sempre, ma aspettarsi che dia il possibile e, quindi, accettare l’errore e che non riesca in tutto. L’istruttore mostra fiducia se ascolta, risponde, consiglia, accetta l’errore costruttivo quando l’allievo sperimenta il nuovo, e non ha bisogno di dimostrare chi ha autorità e comanda. Valuta le intenzioni prima del risultato, e non teme di perdere autorità e prestigio accettando, e magari chiedendo, un parere. E non commette ingiustizie con i meno utili.
Per quanto riguarda l’allievo, una cosa è tradirla non rispondendo com’è atteso e un’altra non riuscire a soddisfarla. Sa, quindi, di essere capito, anche se commette un errore quando tenta con tutto l’impegno qualcosa di nuovo o anche solo difficile.
Come gioca un giovane che sente la fiducia dell’allenatore? Ha meno paura di sbagliare, che è la condizione più favorevole per fare giusto. Non cerca di strafare per stupire e ottenere, o mostrare di meritare, la fiducia, che è il modo più rapido per uscire dalla spontaneità e bloccare l’iniziativa. Non cerca di impreziosire il gesto tecnico più che cercare l’utilità per la squadra, cioè non insegue il proprio vantaggio a spese di quello collettivo. Non crede di poter stare fuori dalle regole comuni, perché non ha motivi per opporsi ma, anzi, è molto attento a non perdere la fiducia che gli è concessa.
Qualcuno può pensare a un metodo troppo morbido ma allenatore e giocatori non hanno gli stessi compiti. L’allenatore ne ha di più e può decidere se qualcuno non vuole capire, perché deve pensare al vantaggio comune. Non ha paura delle verità e delle decisioni amare, perché. La fiducia non è dare un credito vuoto, ma correggere o dissentire, fino a proibire, quando è il caso.
Vincenzo Prunelli
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