Si credeva che, per ottenere impegno, bastasse stimolare la disponibilità a sacrificarsi, il senso del dovere e la voglia, ma oggi questi fattori hanno un effetto modesto e, se imposti, addirittura contrario. Questa considerazione non è un invito a fare nulla. Le motivazioni non sono cambiate, anche se attenuate da concessioni che affievoliscono il piacere di fare, la curiosità, la scoperta di nuove capacità, l’interesse per il nuovo e la possibilità di colmare la distanza con le esperienze e le competenze dell’adulto. Sono stimoli che possono essere rinforzati e impiegati perché il giovane s’impegni a imparare.
Insegnare lo sport
Di solito, s’insegna fornendo informazioni complete e soltanto da assumere, e spesso affidandosi a esperienze vissute da istruttori noti e a teorie di scuole di formazione famose. Serve un metodo condiviso che scopra, sviluppi e faccia cooperare le qualità della mente, moderi e renda vantaggiosi i tratti emotivi della personalità e altri che sono propri del singolo. Si mettono in secondo piano il piacere del gioco, l’ingegno e i caratteri personali, mentre l’insegnamento deve essere adattato alle reali possibilità di ognuno e ai mutamenti che intervengono nel procedere dell’età, altrimenti l’allievo non assimila, oppure acquisisce e memorizza, ma non arriva a criticare, decidere e creare. E non “impara a imparare” anche da solo, che è un segno di base dell’autonomia e dell’iniziativa personale.
Un metodo è valido se porta ognuno a scoprire ed esprimere tutte le proprie qualità, che sono fisiche, tecniche e psicologiche, comprese la capacità di analizzare, assimilare, arricchire e applicare, che dovrebbero diventare l’essenza della personalità. Nello sport e nella famiglia s’interviene soprattutto sul momento e sulla situazione, mentre sarebbe necessario sviluppare un progetto educativo da seguire nel tempo, per arrivare all’adulto che decide e assume da solo tutte le responsabilità che gli competono.
Non tutti sono pronti ad approfondire un tema che richiede impegno e non è del tutto facile, e allora è il caso di osservare alcuni punti. È necessario acquisire conoscenze generali che consentano di sapere come ottenere adesione, che cosa e come insegnare ai vari livelli di età, che cosa chiedere o evitare per non proporre un insegnamento freddo e monotono, quanto spazio d’iniziativa personale concedere per far collaborare tutti e arrivare a conoscenze e metodi comuni. Non impartire soltanto ordini e chiedere pure ripetizioni, perché si arriva al proprio talento con le scelte e le iniziative personali, altrimenti si trascurano le capacità reali, che si esprimono nella libertà di scegliere, provare e correggersi, fino ad arrivare alle proprie soluzioni. Non attenersi semplicemente a una teoria, ma provare, valutare e cambiare confrontandosi, fino a trovare un linguaggio abbastanza comune per potersi capire e portare contributi accessibili a tutti. Conoscere i mezzi e le possibilità di ognuno per non voler agire su qualcosa che un allievo non possiede o trascurare ciò che lo distingue.
Non aderire, quindi, passivamente a un sistema unico, perché si continuerebbe a trattare la formazione come una tecnica statica che addestra, perché considera tutti come pagine bianche sulle quali scrivere le proprie opinioni. Ogni attività si arricchisce con nuove esperienze e soluzioni prodotte dal proprio ingegno e, forse, il compito più importante dell’istruttore è vivere e trasmettere i caratteri della vita adulta, una funzione che segue tutto il periodo della formazione e, se svolta bene, anche più tardi, perché l’acquisizione da modelli credibili è un processo che non ha mai fine.
Infine, occorre tenere conto che ognuno nasce con caratteri ereditati sui quali costruisce le esperienze successive. E lo stile di vita si forma sulle impressioni acquisite già dalle prime fasi dell’infanzia, che da sole non cambieranno, e il giovane tenderà a spiegarsi in base ad esse ciò che accade, e a uniformarvi le nuove esperienze e acquisizioni.
Nell’insegnamento contano anche le qualità personali. Per trasformarlo in un processo che impegna a collaborare istruttore e allievo, occorre guadagnare intesa e disponibilità a imparare e fare insieme, e produrre e vivere un clima nel quale non si sia apprezzati solo per i risultati comunque acquisiti, ma anche per i tratti della personalità e l’impiego delle capacità intellettive, perché chi è interessato e riconosciuto per i propri contributi offre il maggior livello di partecipazione ed è motivato e pronto a imparare.
Molto, quindi, dipende dai modi dell’istruttore. Se si propone come modello credibile, riduce le distanze e allena ad assorbire e a evitare l’errore. Porta ad acquisire e impiegare nuove capacità, scoprire il proprio talento e superare ciò che è insegnato, fino a avvicinare quantità e qualità delle conoscenze di insegnante e allievo. Ciò non significa confondere i ruoli. L’istruttore indica e concede l’iniziativa libera, la possibilità di provare il nuovo, e quindi, anche di sbagliare, la critica e la libertà di esprimere opinioni e portare proposte, ma, intanto, gli trasmette e pretende che siano rispettate anche le norme che devono essere osservate da tutti, come l’osservanza delle regole, l’obbligo di essere costruttivi, il rispetto per gli altri, la collaborazione, e l’impegno verso obiettivi e mete comuni.
Vincenzo Prunelli
Ti è piaciuto questo articolo?
Forse vuoi leggerne altri... Ecco alcuni articoli che hanno un argomento simile: