Formazione

Il talento ha gli stessi tempi di apprendimento di tutti, ma è favorito dal poter mettere in atto più facilmente le intenzioni e di aggiungere qualcosa di proprio. Resiste alle indicazioni di chi insegna, perché possono confliggere con i suoi mezzi e ha strumenti personali migliori. È più pronto a imparare da solo e, quindi, ha bisogno di pochi elementi, e il primo è conoscere gli obiettivi e, poi, poter scegliere i modi e gli strumenti tecnici per raggiungerli. L’insegnamento comune gli impedisce di usare il proprio talento e, se costretto, arriva a fare meglio ciò che è alla portata tutti, ma non ciò che sarebbe possibile soltanto a lui.

Quando e come il talento impara meglio

Fino almeno ai dieci anni è il caso che l’istruttore non faccia interventi troppo “teorici”, perché il bambino vive di sensazioni e non di ragionamenti, e nel gioco libero con poche regole impara da solo e, se deve soltanto eseguire, si annoia. È soltanto più avvantaggiato, perché ha più facilità a eseguire i gesti è motivato dal farlo meglio deli altri e, in un modo o in un altro, riceve maggiore attenzione da parte dell’istruttore. Può anche imparare, ma non da indicazioni teoriche fredde, mentre esegue giochi piacevoli nei quali debba allenare le abilità richieste dallo sport che sta praticando.

Gradualmente compaiono il pensiero astratto e la critica, è impegnato in attività che lo mettono di più alla prova. Verso i dodici, tredici anni, ha più chiaro di poter accedere a nuove esperienze e inizia a porsi obiettivi anche più lontani. Sviluppa un desiderio di sperimentarsi e di cono­scere, che diventa una forte motivazione all'apprendimento e alla naturale conseguenza di volere scoprire il nuovo per arrivare a nuove espe­rienze e scoperte. Non si accontenta più di ricevere informazioni ed eseguire, ma vuole sperimentarsi, scoprire e portare modificazioni origi­nali e creative alle informazioni o acquisirne altre nuove. Ed è rassicurato dalla possibilità arrivare da solo a nuove conoscenze, e di trarre da esse con sempre maggiore facilità gli elementi per arrivare a scoperte originali e creative. Occorre, però, lasciarlo libero di sperimentare e trovare soluzioni personali, perché imbrigliarne la creatività e l’iniziativa significa impedirgli di scoprire e usare le qualità che sono soltanto sue. Fa i primi progetti e s’impegna a raggiungere degli obiettivi. Non si accontenta più di essere informato, ma vuole sapere da dove provengono e su quali basi si formano le co­noscenze, e inizia a interessarsi in modo razionale al come fare, perché vuole partecipare a ciò che sta accadendo o può far avvenire.

Nella preadolescenza, la vittoria non è ancora l’obiettivo fondamentale. È ancora una verifica e la prova di poter aspirare a degli obiettivi, e la gara è un momento per tentare soluzioni creative e originali, imparare dagli errori e capire come si fa a correggersi. È il periodo della formazione nel quale, anche per il talento, di imparare a vincere. Soprattutto il talento, non si può proibire qualsiasi iniziativa che non abbia un esito sicuro, valutare il risultato e non la prestazione e condannare l’errore anche quando è un tentativo originale, ma non ancora riuscito. Altrimenti è costretto solo a ripetere ciò che è già acquisito e a evitare l’errore, che significa non imparare e non provare il nuovo.

Ci si chiede se deve continuare a giocare o abituarsi a lavorare. Non gli si deve impedire di giocare, che soddisfa la ricerca di un piacere, ma lo abitua anche ai ruoli della vita adulta, gli offre conferme sui mezzi di cui dispone e gli consente di scoprire gli strumenti e i modi per diventare anche concreto.

Con l’avanzare dell’adolescenza, il talento può imporsi l’obbligo di imparare e di lavorare per obiettivi, è disponibile alla partecipazione e alla collaborazione e inizia a rispondere al senso del dovere e a rapporti fondati sulla stima reciproca e sullo scambio paritario di contributi. È anche il caso di considerare che un giovane, oggi, raggiunge più presto l’età in cui è in grado di affrontare lo sport adulto e, quindi, di non credere più che, per completare la formazione, sia indispensabile maturare, il famoso “farsi le ossa”, a livelli più bassi dello sport. Dipende dal grado di maturazione raggiunto perché, ai livelli più alti, si ha la possibilità di confrontarsi e imparare da campioni, e abituarsi al gioco più impegnativo dell’adulto.

Con il talento occorrono anche cautele, perché l’obiettivo non è uniformare tutti a un modello, ma operare per portare il talento a sviluppare quello che gli è possibile per le sue qualità. L’istruttore si limiti a rispondere senza voler insegnare usando ragionamenti astratti. Non pensi che l’obiettivo sia solo il risultato e non anche l’impegno e le intenzioni quando non danno subito risultati. Non chieda di percorrere sentieri obbligati, ma gli lasci la libertà di creare e sperimentare nuove soluzioni, perché è il modo per scoprire le qualità più importanti, e gli dia tutte le spiegazioni per capire, valutare e, se ne ha di più efficaci, modificare le indicazioni che riceve.

Vincenzo Prunelli

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