Formazione

Il talento sceglie da solo l’agonismo che sente più utile, ed è quello che valorizza le sue abilità. Ha, invece, scarso interesse per quello che serve soltanto per vincere con qualsiasi sotterfugio, perché essere più abile e sentire di eseguire meglio un gesto tecnico impossibile agli altri lo soddisfa più che prevalere con i mezzi estranei al suo talento.

I motivi dell’agonismo sbagliato

L’agonismo sbagliato e scorretto va proposto a nessuno, e specie a un bambino, che è nell’età in cui forma lo stile di vita e acquisisce i modi, giusti e sbagliati, della vita adulta. Può lasciare conseguenze a volte non eliminabili sulla persona e sullo sportivo, perché il bambino assimila marchingegni, furtivi, ingannevoli o violenti, che sono estranei alle sue capacità e che, poi, saranno anche proibiti e sanzionati. Fanno vincere prima, e per questo possono influenzare un bambino, che impara a usarli a spese del proprio talento, ma saranno ostacoli per l’adulto, perché agiscono sullo sportivo e sulla persona.

Avere a che fare con bambini non è facile. Un po’ tutti, e non soltanto nello sport, commettiamo errori anche senza rendercene conto Si dice ancora che un bambino deve imparare subito i gesti giusti, o meglio perfetti, dell’adulto, ma anche il campione è partito dall’incapacità per arrivare progressivamente al proprio talento; oppure che deve assimilare tattiche e schemi precisi quando ha soltanto bisogno di giocare libero. Si chiede ai bambini una competitività da adulti, con sistemi e obblighi imposti che li trasformano in esecutori passivi che non possono arrivare all’autonomia e alla responsabilità per pensare e agire anche da soli. Si dà tutto pensato e stabilito, come bastasse per assumere le iniziative necessarie per vincere, oppure si addestrano a essere sleali e scorretti in campo e, intanto, dovrebbero essere sempre rispettosi e disposti a ubbidire fuori. Si puniscono se perdono, e si pretendono sottomissione e obbedienza invece di cercare intesa e partecipazione, e si portano a giocare senza entusiasmo fino a opporsi. Si dipinge l'avversario come un nemico anche da abbattere, contro i rapporti armonici che servono alla persona e allo sport.

Si premiano secondo il risultato e non per l'impegno e le intenzioni, invece di stimolarli a migliorarsi, e così si appagano per una vittoria senza meriti, o non si riconosce il valore di una buona prestazione quando hanno perso. Non si lasciano liberi di provare, creare, sperimentarsi e trovare soluzioni, e così si bloccano la decisione e l’iniziativa personale, che sono condizioni essenziali per l'agonismo. Si giustifica tutto purché garantiscano il risultato, ma non si abituano a valutare la qualità della prestazione e a correggere gli errori. Si obbligano a doversi difendere da giudizi inutili che li rendono insicuri e non autonomi e responsabili. Infine, non si autorizzano a rispondere con la loro creatività e iniziativa, che sono fondamentali per sommare interessi e contributi e imparare ad amministrarsi da soli.

È chiaro che si tratta di un elenco che raccoglie il peggio possibile e tutto a svantaggio del talento ma, pur senza voler colpevolizzare persone non informate che fanno il meglio possibile, se si vuole arrivare allo sportivo che è somma di giocatore e persona, qualcosa bisognerà pur fare. L’istruttore che crede di avere tutte le opinioni e di stabilire cosa si possa o no fare, non prepara più l'adulto che vi è in ognuno, e resta un modello lontano e non raggiungibile, oppure diventa egli stesso un bersaglio poco autorevole.  

C’è chi vorrebbe cambiare, ma teme di lasciare troppa libertà agli allievi e non riesce a liberarsi di vecchi condizionamenti. È più attento alle qualità e ai caratteri dei singoli, ma si accontenta che siano buoni esecutori. Lascia più spazio alle opinioni e alle iniziative, ma rifiuta ciò che non si adatta alle sue attese e direttive. Dice di allenarli a gestirsi da soli, ma chiede realizzazioni già previste e attese, e si aspetta solo un buon assorbimento delle informazioni. Parla di partecipazione, ma dà soluzioni confezionate, chiama in causa su questioni marginali, ma progetta e decide soltanto lui. Dà regole chiare da seguire, ma non lascia che decidano anche da soli, e così non li rende responsabili. Altri temono che, lasciati anche liberi di decidere, gli allievi non vadano nella direzione attesa e perdano tempi dello sviluppo sportivo. Tracciano binari rigidi perché non escano da tracce sicure e non si perdano in interpretazioni e iniziative nuove e personali. Per farli arrivare più presto al gioco degli adulti, offrono soluzioni già pronte, che fanno subito punti, e non li allenano a trovarle da soli. 

Così, tutti questi residui autoritari escludono la fantasia, la creatività e l'iniziativa, e non abituano a essere responsabili nei confronti degli obiettivi, perché la soluzione che non dipende anche dai loro contributi, non li motiva a impegnarsi per conseguirli. E, poiché non si parla soltanto dello sportivo, l’agonismo sbagliato proposto a un bambino avrà conseguenze sulla persona anche fuori dello sport.

Vincenzo Prunelli

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