È innegabile che le tre agenzie lavorino per lo sviluppo dei giovani, ma senza metodi e obiettivi comuni è più facile che si giochino contro.
FAMIGLIA, SCUOLA E SPORT: la collaborazione
Si sa che famiglia, scuola e sport cooperano nella formazione, ma occorre considerare alcune premesse. Lo sviluppo inizia con l’infanzia, e quindi non si possono trasmettere modelli che poi debbano essere corretti o vietati, e l’adulto, genitore o istruttore, è un modello nel bene come nel male. Ognuno è unico e diverso da tutti. Non si possono chiedere le stesse cose a tutti e credere di sviluppare in tutti le stesse qualità e potenzialità. Occorre insegnare in modo che ognuno possa scoprire e utilizzare le qualità che possiede. Il giovane di oggi non è più motivato dai richiami al dovere, alla volontà o al sacrificio. Ognuno possiede motivazioni in grado di accompagnarlo in tutto lo sviluppo, come il bisogno di superare il disagio della propria incompletezza e inadeguatezza, la costatazione dei miglioramenti, la scoperta e lo sviluppo di abilità sconosciute, la possibilità di valorizzarsi nei confronti dei coetanei o l’apprezzamento dell’adulto. Purché, però, si rispettino i tempi dello sviluppo e si chiedano solo risultati possibili.
La mente va trattata e sviluppata secondo i principi che la regolano. Si deve sapere che l’intelligenza si esprime su tre livelli, l’apprendimento, la critica e l’invenzione, tutti importanti e indispensabili ma attivi su funzioni diverse. In qualche settore dello sport, invece, si avvantaggiano l’apprendimento passivo del gesto ideale e soluzioni già pronte e complete, e s’ignorano l’osservazione critica e l’invenzione, che sono i caratteri distintivi dell’ingegno e del talento.
Possiamo, quindi, definire tre settori dell’educazione o della formazione nello sport. Il primo, che è solo possibile formare la persona che c’è in ognuno allo stato potenziale. Non si forma, quindi, sulle illusioni o sui desideri dell’adulto e sull’imitazione di gesti copiati da un modello prefissato, ma sulle potenzialità reali. E non solo perché in questo modo si ottengono brutte imitazioni, ma perché il talento è un tratto specifico e del tutto personale che si sviluppa nella libertà di sperimentare il nuovo nei confronti di situazioni non previste e, dunque, nella possibilità di sbagliare e imparare a correggersi. Possiamo allora dire che il talento interessa e utilizza i livelli più elevati dell’intelligenza, e che la persona e lo sportivo crescono quando devono affrontare compiti e situazioni difficili, ma sempre risolvibili.
Il secondo è la trasmissione del nostro essere adulti, che non è imposizione né precetto da acquisire in modo passivo. Possiamo essere buoni o cattivi modelli: non possiamo, quindi, trasmettere il trucco, la slealtà o l’elusione delle regole e pretendere di essere esempi corretti e credibili. E neppure possiamo essere protettivi e permissivi perché “sono ancora piccoli, e avranno tutto il tempo per correggersi”. I primi anni costruiscono lo schema del carattere e dello stile di vita, e ciò che si acquisisce in questo periodo ancora privo di critica è assunto come verità e diritto che più tardi si potrà cancellare con una proibizione o un distacco affettivo mai privi di conseguenze.
Il terzo, che è educazione quando si opera per scoprire e sviluppare tutte le potenzialità e le qualità del giovane. A parte l’attenzione a chiamare in causa tutti i livelli dell’intelligenza, si tratta di formare un adulto autonomo, maturo e responsabile. Una descrizione esauriente sarebbe difficile, e allora limitiamoci a descrivere alcune qualità. È lo sportivo che ha acquisito il coraggio e la sicurezza per camminare da solo, mettersi alla prova, avventurarsi nel nuovo e andare oltre ciò che gli può essere insegnato. Sa cooperare, essere un leader e, allo stesso tempo, mettersi al servizio della funzionalità collettiva. È disposto a imparare da chiunque e, intanto, a portare un’impronta personale a ciò che ha acquisito. Cerca, ammette e corregge i propri errori, perché è padrone e consapevole di sé e dei propri comportamenti. Sa di avere qualità da sviluppare e limiti da rispettare e, infine, non si fa condizionare dalle emozioni, dal desiderio del momento, una qualità non sempre attiva nello sport. In pratica, vive un autocontrollo e un’autodisciplina non imposti, ma parte del carattere.
Vincenzo Prunelli
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