Che un genitore voglia aiutare un figlio a valorizzarsi nella vita è del tutto comprensibile, ma se l’aiuto è una protezione che gli spiana il percorso perché sia sempre trattato come il migliore e non trovi mai ostacoli che lo mettano alla prova e lo costringano a impiegare tutte le capacità e le energie per riuscire è un controsenso e una limitazione. Se, invece, un istruttore crede di trasformare un normale sportivo in un campione senza considerare i danni che può procurare, siamo di fronte a una manipolazione meno accettabile.
La protezione all’infinito
Un genitore protettivo pensa di soddisfare esigenze reali del figlio ma, che se ne renda conto o no, è vittima di convinzioni, paure e, a volte, rivendicazioni e obiettivi che sono solo suoi, ed è anche difficile che se ne renda conto perché, qualsiasi cosa faccia per un figlio, sembra sempre un atto d'amore o un dovere. A volte, però, i motivi sono altri, come quando lo isola dietro una cortina difensiva perché è convinto che, per crescere meglio, debba essere liberato da tutto ciò che non lo rende felice o non lo avvantaggia sugli altri. Oppure, quando lo vorrebbe liberare dai dubbi e dai compiti essenziali, magari senza rendersi conto di volersi sentire importante per i suoi successi o poter così continuare a essere protettore indispensabile anche quando l'età e lo sviluppo gli imporrebbero di cavarsela da solo.
Ci sono situazioni in cui un giovane va difeso da problemi che non è ancora in grado di affrontare, ma nessun motivo è valido per proteggerlo di fronte a ciò che deve imparare ad affrontare da solo, e qualche volta è addirittura difficile trovare un pretesto. Vediamo un semplice un esempio. Un genitore si presenta angosciato perché ha paura che il figlio, di quindici anni, si possa suicidare. È stato bocciato a scuola e rifiuta di mangiare, non si stacca dal televisore in camera sua; è abbattuto e lascia capire che non gli interessa più vivere. Il ragazzo, figlio unico, è cresciuto con un padre autoritario e troppo esigente sia nella scuola e, sia, nello sport e una madre sempre accondiscendente, poco autorevole e troppo protettiva, dai riguardi per la salute alle pappette Ipervitaminiche, dalla difesa da ogni disagio e incombenza e dall’all'offerta di soluzioni, fino alle menzogne più scoperte per giustificarlo delle sconfitte.
Nella scuola e nello sport è sempre proceduto senza acuti nonostante abbia qualità superiori alla media. Il padre ha sempre cercato di pungolarlo con richieste e pretese impossibili da soddisfare e, in pratica, l’ha portato a considerarsi in un incapace, mentre la madre l’ha aiutato in tutto. Gli ha costruito intorno una nicchia nella quale si è mosso a suo agio fin verso i dieci anni, quando sono comparse le prime difficoltà con la scuola. Da allora è diventato timido, chiuso è troppo preoccupato per una lieve obesità della quale gli altri non si erano mai accorti. La madre ha pensato di rimediare con più attenzione, rassicurazioni infondate e una protezione ancora più assidua, e il ragazzo, con delle alterne difficoltà, ha superato la terza media.
All'ultimo anno di scuola, in una classe composta di venti femmine e quattro maschi, viene la grossa difficoltà. I complessi d’inferiorità e i pochi chili di troppo lo fanno isolare in una condizione di disagio e d’inadeguatezza. Si allontana dai maschi, che vede troppo sicuri e arroganti, e dalle femmine dalle quali si crede deriso e rifiutato. La stessa involuzione avviene anche nello sport, e alla fine è bocciato e non più utilizzato nello sport. La madre, in accordo con il padre che, come avviene per tutti gli uomini di ferro perde sempre di fronte a un figlio che decide di vincere con la debolezza, viene a chiedere un certificato, negato perché sarebbe la sconfitta finale, che attesti un esaurimento nervoso per ricorrere contro la bocciatura e impietosire l’istruttore.
Il figlio non è un mostriciattolo calcolatore e davvero soffre la situazione, che pure sembra giustificata dall’amore o dalla necessità. La madre lo protegge esageratamente perché per lei è troppo fragile, e gli libera la strada da dubbi e inutili disagi perché sia sempre felice, ma, intanto, gli dice che non saprà mai farcela da solo, e il padre lo vorrebbe talmente forte da riuscire dove lui crede di aver fallito. Dietro queste protezioni, quindi, troviamo paure, attese deluse e l'impazienza di trovare, attraverso e a spese del figlio, una qualche rivalsa su tutti. E il figlio, per tutti questi “aiuti”, prima si è affidato nell’attesa di qualcuno che gli evitasse qualsiasi difficoltà e decisione, e poi, trovandosi impreparato ad assumere le iniziative personali che richiede lo sport, si è arreso.
E, alla fine, le difese e gli aiuti, che prima avevano bloccato il ragazzo, si sono rivelati in tutta la loro oppressione, e lo hanno convinto che non gliel'avrebbe mai fatta nonostante o, forse meglio, a causa del soccorso ricevuto.
Vincenzo Prunelli
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