Il talento è avvantaggiato perché prevale nel gioco e nella prestazione, ma spesso, per la propria dotazione è sottoposto a maggiori richieste, deve adattarsi agli altri a spese delle proprie capacità, tenere a freno la vivacità creativa e pagare con profonde insoddisfazioni uno sviluppo incompleto del proprio talento.
Il talento patisce più degli altri gli stimoli dell'ambiente, anche perché è caricato di troppe attese e deve sottostare a regole e schemi rigidi dai quali si sente imbrigliato, e ai quali si ribella facendo di testa sua o attuando resistenze passive. Non è, quindi, automaticamente costruttivo perché, fino ai dieci, undici anni, non familiarizza con il pensiero astratto e la logica dell’adulto, e segue la creatività e il gusto di sperimentare le proprie forze a volte anche contro la logica del gioco.
Questa incompletezza, unita al bisogno di liberare l’impulso creativo, lo porta a non essere sempre razionale. Crede di sapere perché sa organizzare le conoscenze che possiede, ancora poche e spesso sbagliate. Pretende lodi e apprezzamenti, e se non li ottiene cerca di stupire con tentativi maldestri, oppure risponde con scarso impegno. A volte sembra addirittura capire meno degli altri, perché segue soprattutto intuizioni e ragionamenti propri, oppure esegue male perché è portato a inventare piuttosto che a ripetere.
Mostra un desiderio palpabile e spesso irritante di affermazione fino a diventare sfrontato, reattivo e ingovernabile o, a volte, anche ostile, perché sente di essere più capace e pronto degli altri e di non essere considerato per quanto crede di meritare. Eppure è intelligente, ma l’intelligenza, non è sempre produttiva. Se l’ingegno trova inutili freni e opposizioni e non ha altri modi per esprimere la propria forza creativa, infatti, va verso qualsiasi situazione gli offra la possibilità di esprimersi, e può diventare creatività futile o distruttiva.
Se deve solo assorbire, non resta necessariamente indietro rispetto ai compagni, perché impara come e meglio di loro, ma non va dove potrebbe arrivare. Se, poi, trova il clima che non riconosce la sua maggior dotazione, non impara ciò che devono fare tutti, non si adatta a mettere il suo talento al servizio degli altri e non si abitua al gioco di squadra, fino a diventare reattivo o indolente. Se è l’unico talento della squadra ed è solo valutato per il rendimento, è naturale che impieghi i numeri migliori solo per se stesso e non giochi per favorire gli altri. Ha quindi bisogno di inventare e di fare ciò che gli consente la sua maggiore dotazione, altrimenti non arriva al suo massimo sviluppo, oppure rischia di abbandonare lo sport o di mettersi contro.
Spinto dalle sollecitazioni, vuole per forza essere sempre vincitore e stare sopra di tutti, e se non si ritiene giustamente valutato per le qualità che sente solo sue, cerca più degli altri di imporsi e di occupare spazi che l'allenatore ritiene propri. Gioca per sé e compie i gesti dello sport senza bisogno di collaborare e di integrarsi con gli altri. Sa di valere e di essere indispensabile, e allora crede di poter pretendere più degli altri o di avere già tutto senza dover fare nulla per migliorare. Si appassiona fin troppo al gioco, dove ha successo e attenzioni, ma trascura altri interessi, dove non ha vantaggi di partenza e non gli fanno sconti.
In un clima troppo competitivo, i compagni non sono più gli amici ma rivali da mettere in cattiva luce o far sfigurare per conquistarsi l’attenzione dell’allenatore, e gli avversari anche dei nemici. Andando avanti, incontra altri talenti con le stesse esigenze, ugualmente caparbi e poco disposti a farsi da parte per lasciargli recitare il ruolo di prima donna, e allora giustifica gli insuccessi con l'ostilità degli altri, la sfortuna o la giornata storta.
Non si diverte e si ribella se lo costringono ad allenamenti noiosi e pesanti, la gara non è un gioco allegro, ma una cosa molto seria da vincere, e la sconfitta un dramma da espiare in silenzio. E se fallisce perché gli chiedono troppo, si scoraggia, a volte fino a credersi meno dotato degli altri e a non impegnarsi per evitare il rischio di mettersi alla prova.
In conclusione, se non si adatta alla media, è più fragile degli altri ed esposto a maggiori rischi.
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