Formazione

Siamo abituati a pensare che tutto vada insegnato, ma molte qualità si scoprono usandole o osservandole in azione negli altri.

Inoltre, sarebbe difficile trovare metodi e sistemi per sollecitarle tutte. Alcune sono ovvie, come la creatività, la fantasia, l’originalità, la critica, l’iniziativa libera o l’intelligenza. Basta affidare compiti nei quali debbano essere usate, ma è anche intuitivo che è indispensabile lasciarle libere di esprimersi. Si continua, però, a immaginare che, per svilupparle sia sufficiente affidare compiti o semplicemente aspettarsi l’esecuzione richiesta. Si creano percorsi “protetti” o, addirittura, inutili ostacoli pensando che un’ideazione e un’iniziativa libere portino all’anarchia, alla soddisfazione di bisogni improduttivi o ad acquisizioni sbagliate non più correggibili. O, ancora, si continua a credere che offrire tante conoscenze e soluzioni già pronte, uguali per tutti e depurate da ogni possibilità di errore sia un nutrimento completo per l’intelligenza. In pratica, credere che tutto vada insegnato e comandato per non creare sugli errori, e pensare che dare tutto pronto offra più conoscenze e opportunità di scelta dà dei buoni esecutori, ma non dei protagonisti.

Per esempio, non si conoscono metodi per far ragionare e produrre insieme in modo da formare un collettivo. Occorre adottare sistemi nei quali ognuno sia messo in condizione di pensare anche per gli altri, di essere seguito e di proporre idee e iniziative. Sembra un calcolo troppo semplice, ingenuo e non ingegnoso, ma pensiamo che se in un gruppo ognuno ha un’idea personale e la condivide, alla fine le avranno acquisite tutti.

In una squadra significa abituarsi a imparare da chiunque, sviluppare idee creative e originali, e quindi andare nel nuovo, che può assumere direzioni infinite secondo chi le propone, e saper decidere e assumere l’iniziativa adatta alla situazione senza bisogno di essere sempre guidati.

Su un piano più personale, il confronto d’idee allena a saper acquisire dalle esperienze di tutti e trasformarle in bagaglio personale; a immedesimarsi nelle situazioni, capirne gli usi e le implicazioni e imparare a risolverle; o a valutare la validità delle proprie opinioni e correggersi da soli, che è un percosso essenziale verso l’assunzione della responsabilità.

Si deve anche valutare l’effetto sullo sviluppo della personalità e del carattere. Dobbiamo interpretare la formazione allo sport come un intervento educativo, e quindi non considerare l’allievo una materia alla quale dare forma secondo un modello ideale. Se lo consideriamo una potenzialità ancora tutta da scoprire e solo da formare, ci rendiamo conto che non possiamo svilupparlo noi, ma solo creare le condizioni perché si sviluppi da solo. E allora l’interesse a portare un’impronta personale che renda più funzionale ciò che ha acquisito, l’attitudine a interpretare la realtà e a modificarla secondo schemi e interpretazioni personali e il coraggio di mettersi alla prova anche a rischio di una sconfitta o di uno svantaggio personale, sono tratti essenziali dell’adulto che dobbiamo sviluppare. Non sarà più il puro esecutore, ma un soggetto che conosce, pensa, decide e si amministra da solo, perché se lo costruiamo secondo aspettative e metri nostri formiamo tanti sportivi tutti uguali, ma non quello che potenzialmente vi è in ognuno.

Dobbiamo, però, iniziare dal bambino, che non ha ancora le strutture per imparare, ragionare e comportarsi come l'adulto. Deve sviluppare il proprio gesto, e man mano che se ne sarà impadronito, lo potrà modificare per avvicinarlo a quello del campione perché, se lavoriamo sulle poche qualità che conosce e sa usare, non gli lasciamo scoprire tutte le altre, che si esprimono solo se possono essere sperimentate.

Passiamo, quindi, il periodo che va fino agli 11-12 anni a scoprire il bambino e a creare le condizioni perché lui scopra tutto di se stesso, e cominciamo a specializzarlo solo dopo, quando avrà sviluppato tutte le qualità necessarie e le saprà usare.

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