Nello sport il dialogo è troppo spesso una cerimonia il cui uno parla e gli altri ascoltano. Con gli adulti può essere quasi una collaborazione tra pari, se l’allenatore fa conoscere le proprie opinioni perché siano condivise e accetta quelle utili che gli sono proposte. I giovani, invece, devono acquisire conoscenze e responsabilità da un istruttore che ha il compito di fornirle, ma con l’obiettivo di arrivare a un rapporto “adulto”. La difesa dagli eccessi, in ogni caso, è il mantenimento di ruoli ben distinti.
Se do confidenza ai miei allievi, non rischio di fraternizzare troppo?
Se confidenza significa venire meno al rispetto nei confronti di chi ha un ruolo e compiti diversi, come avviene nell’educazione, quest’allenatore ha ragione, ma in questo caso significa che ha concesso uno spazio eccessivo a un allievo che ne ha approfittato. In un rapporto tra pari, proporsi senza inutili barriere non significa rendersi simili in tutto e negare le differenze, e il dialogo non è il percorso attraverso il quale due idee diverse devono per forza coincidere. Se ognuno non mantiene le proprie idee e posizioni quando le ritiene logiche e lecite, infatti, non vi è dialogo, ma piuttosto accondiscendenza e adattamento passivo. Mantenere le proprie idee, però, non significa sostenerle solo per non avere torto oppure opporsi a un cambiamento. Dialogo significa anche saper vedere gli interessi degli altri e creare un clima in cui si tiene conto dei bisogni, dei sentimenti e delle posizioni di tutti e, quindi, modificare anche i propri.
Abbiamo parlato del rapporto tra adulti o di confronto su idee di valore simile, ma qui parliamo di giovani che devono acquisire conoscenze e responsabilità da un adulto che ha il compito di fornirle. Con loro è più facile esprimersi con un tono autorevole, ma se riusciamo a creare un clima che consenta di ognuno di chiedere consigli quando ne ha bisogno, di parlare di un problema che lo preoccupa o di dare un suggerimento su qualcosa che dipende da lui, possiamo a ragione di parlare di rapporto.
In ogni caso, dobbiamo riuscire a mantenere ben chiaro il nostro ruolo, altrimenti possiamo diventare permissivi. Se lasciamo occupare troppo spazio o, al contrario, siamo autoritari, nel primo caso rischiamo di perdere autorità e prestigio e, nell’altro, di soffocare creatività e iniziativa. E se qualcuno vuole fraternizzare troppo? Vuol dire che noi lo abbiamo permesso. Un rapporto più stretto non è per forza un male, ma se ci toglie autorità, significa che ci siamo sbagliati entrambi e che tocca a noi correre ai ripari. Con qualche difficoltà, però, perché ciò implica dover affermare la differenza dei rispettivi ruoli, e questo può essere avvertito come un rifiuto.
Come va impostato il dialogo? Qualcuno crede che il tempo a disposizione sia poco, e che il dialogo sia un lusso che si possono permettere solo le squadre professionistiche, ma questi sono pretesti. Non si è preparati a un dialogo produttivo, e questo è un grosso limite per il funzionamento della squadra. Il dialogo non è stare chiusi per ore nello spogliatoio a parlare di cose fumose e poco interessanti, cercare di portare dalla nostra parte i giocatori o, tantomeno, organizzare assemblee in cui tutti dicono la loro tanto per parlare e dove non si conclude mai nulla.
Il dialogo non è una cerimonia da spogliatoio. Si svolge in qualsiasi momento in cui si scambiano idee ed esperienze, si cercano soluzioni insieme e si prendono decisioni in comune. E senza tempi morti o doversi sforzare per convincere o farsi capire, perché i messaggi non incontrano resistenza, grazie a un clima nel quale ognuno porta di sé la parte migliore e si sente riconosciuto e ugualmente partecipe. Se ciò è chiaro, lo è altrettanto il fatto che il dialogo è addirittura più necessario dove c'è poco tempo, perché capirsi subito e cercare di essere sempre costruttivi è l'unico sistema per sfruttarlo al meglio.
Il dubbio si pone ancora meno tra i giovani, dove l'attività tecnica si caratterizza per tempi più lunghi e ritmi più blandi, che lasciano più tempo a disposizione. Ciò non significa che con i giovani ci voglia più tempo per ragionare sulla stessa lunghezza d'onda, ma solo che, rispetto agli adulti, i giovani, prima di poter maturare proposte autonome e prospettare soluzioni ai vari problemi che man mano si pongono, hanno bisogno di tempi maggiori per capirsi e rassicurarsi.
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