Le domande degli allenatori

In un’epoca in cui trovo tanti ragazzi molli ed esposti a mille distrazioni che li distolgono da compiti che richiedono impegno, non è il caso di essere più severi e direttivi, cioè chiedere e pretendere?

Ricordiamo, come sempre, che nella realtà ci sono tante sfumature accettabili ma, per spiegarsi meglio, è opportuno descrivere le persone come avessero tutti i difetti.

L’adulto, genitore, insegnante o istruttore, che sa soltanto comandare oggi è troppo indietro con i tempi. Il giovane risponde se si sente riconosciuto e apprezzato, è chiamato in causa per proporre le proprie opinioni, può avere uno spazio di libertà, anche se controllato, nel quale potersi sperimentare e tentare il nuovo. Altrimenti rinuncia, si adatta al poco quando non può fare altro, oppure si oppone.

Questo tipo di adulto mantiene invariata la distanza con il giovane. Un tempo poteva soddisfare, perché era un modello educativo accettato, mentre oggi non basta più. Il giovane è a contatto con altri stili educativi, e purtroppo spesso diseducativi, ed è accertato che l’adulto, che lo sappia o no, nelle prime fasi dello sviluppo è imitato e assunto come modello nella formazione dello stile di vita. E il rischio è che anch’egli sarà un adulto ancora più indietro rispetto ai tempi che avrà difficoltà a proporsi a un giovane sempre più diverso.

Una comunicazione a direzione unica e senza risposta ha anche conseguenze più immediate. L’adulto che non accetta contributi non ha modo di verificare i momenti favorevoli dell’apprendimento e le capacità del giovane e, sull’educazione e la formazione, può soltanto agire con interventi uguali per tutti, che cancellano il desiderio e la capacità di pensare, non rafforzano la sicurezza e ostacolano l’iniziativa.  Poiché non prevede l’intesa e la collaborazione e non favorisce la sicurezza per avventurarsi nel nuovo e il piacere di arrivare anche da soli alle soluzioni, deve cercare di stimolare con la paura, la minaccia, la disistima o la punizione, tutti strumenti che tolgono il coraggio per trovare soluzioni personali e, quindi, nuove.

Ignora le motivazioni e il desiderio d’imparare, valorizza solamente l’apprendimento passivo e la pura esecuzione e, quindi, non stimola l’assunzione di iniziative personali, e il giovane non può verificare l’apprezzamento e, quindi, la correttezza delle proprie opinioni. In pratica, impartisce comandi corretti, ma finisce per dover chiedere impegno e adesione, perché forma sportivi che aspettano ordini e non sono allenati a esercitare una professionalità autonoma e, quindi, a metterci la parte di responsabilità e iniziativa che spetterebbe a loro.

Blocca la creatività e l’iniziativa, perché dà tutto già pensato e deciso e, addirittura, le proibisce, perché sono i motori dello sport, ma espongono più facilmente all’errore. E lì imprigiona il talento, che si manifesta solamente addentrandosi nel nuovo, e forma un succube o un altro autoritario.

Non impara e non evolve, perché crede unica la propria idea e, anzi, si oppone ai cambiamenti, perché è convinto di possedere tutto. Non condivide nulla con i colleghi, sempre pronti a succhiargli le idee, ed è pronto a battere la testa anche contro un’incudine per sostenere le proprie convinzioni.

Vincenzo Prunelli

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