Caro Prunelli, Lei definisce l’osservanza delle regole e la libertà pilastri fondamentali della formazione, ma ho difficoltà a immaginare che un giovane libero di fare quello che vuole non sia piuttosto portato a eluderle.
Conciliare regole e libertà
Ci conosciamo, e dammi del Tu come sempre, perché non Ti risparmio. Senza regole, non c’è libertà perché, se ognuno agisce fuori da un comportamento condiviso, c’è soltanto anarchia. Innanzitutto, occorre ricordare che le regole non s’insegnano e non s’impongono, ma si acquisiscono senza neppure rendersene conto. L’adulto, che non significa soltanto avere raggiunto l’età di una buona ragione, le vive senza rendersene conto, perché sono quasi le leggi per capirsi, fare insieme e inseguire obiettivi comuni e accettati. Il bambino e, se l’educazione è corretta, anche il giovane imitano, inoltre, apprezzano chi li guida e ne assumono i modi senza avvertire il bisogno di contrastarli.
L’istruttore, però, non si può limitare a stare egli stesso nelle regole perché, senza altre condizioni, non comunica e può restare un estraneo che non trasmette se stesso. In primo luogo, perché diventare adulti non significa avere assunto come giusti i comportamenti pensati e trasmessi in modo passivo da altri. Poi, perché educare non significa dare lunghe liste di direttive dove cercare quelle utili per ogni situazione, ma rendere protagonisti, autonomi e responsabili, capaci di capire, valutare, scegliere e raggiungere gli obiettivi secondo le proprie concezioni.
Come allenare un giovane alla responsabilità e alla libertà? Sembra un giro di parole, ma lasciandolo libero di fare e sbagliare quando cerca il nuovo e l’originale in modi adeguati per l’età e i mezzi a disposizione. Così non sviluppa solamente la creatività e l’iniziativa personale ma, se prima aiutato a capire e, poi, portato a correggere da solo l’errore, inizia a vivere, anche da bambino, gli stessi modi dell’adulto, si sperimenta, va oltre ciò che gli può essere insegnato e, se mi permetti il giro di parole, impara a imparare da solo.
Non ci possiamo, però, aspettare che arrivi da solo a tutto. Tante cose gliele dobbiamo insegnare, e qui occorre parlare del come. Non forziamolo né limitiamoci a dire come fare, perché lo costringeremmo a una partecipazione passiva. Interessiamolo spiegando dove vogliamo arrivare, diamogli alcuni suggerimenti perché inizi a capire che cosa ci aspettiamo, così da stimolarlo a collaborare. E, se propone qualcosa di nuovo, stiamo pronti ad accoglierlo, anche se può essere incompleto o irrealizzabile, perché stimola comunque originalità, creatività e fantasia. Teniamo conto dell’importanza di conoscere gli obiettivi, che permette di indagare la strada da percorrere e gli strumenti da utilizzare per raggiungerli, mentre non conoscerli insegna solo a ripetere e ad aspettarsi di essere guidati.
Tutto questo avviene quando la formazione non è un processo freddo. Ogni giovane ha bisogno di sentirsi riconosciuto e accettato, altrimenti non si sente motivato e non risponde. L’istruttore lo valuti per quello che è, né più né meno perché, se per incoraggiarlo lo tratta da campioncino quando non lo è, lo costringe a doverlo dimostrare e, alla fine, lo convince di essere incapace; se per stimolarlo perché s’impegni di più, invece, lo sminuisce, ed è facile che lo scoraggi o lo renda reattivo. Faccia in modo che non si appaghi o non si affidi, perché Il rendimento dipende da quanto uno sportivo vale ma, di più, da quanto ci mette di proprio per dimostrarlo. E, infine, gli offra l'opportunità di contare per quello che fa, e gliela racconti sempre giusta, senza volerlo manipolare.
Vincenzo Prunelli
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