Le domande degli allenatori

E se ci scontriamo? Se sono in conflitto con un allievo non so come comportarmi.

Il conflitto è inevitabile e sempre dannoso? Come nasce e come si sviluppa? Ci sono responsabilità da parte nostra?

Avere punti di vista diversi, confrontare le opinioni e cercare una soluzione che appaghi tutti è augurabile ed essenziale, perché una piatta uniformità di opinioni significa rinunciare, sia noi che gli allievi, a essere creativi. Se, però, si parla solo di contrapposizione, cioè avere per obiettivo la sconfitta dell'altro, non vi sono sbocchi utili verso una situazione costruttiva.

Il conflitto è possibile in qualsiasi metodo, perché l’educatore deve chiedere rinunce, pretendere l'osservanza delle regole, fare delle scelte e, spesso, frenare lo scarso adattamento alle esigenze collettive. Un altro motivo è la convinzione, ancora radicata, che la divergenza di opinioni e di obiettivi debba prevedere in ogni caso uno scontro e un vincitore, e non sia, invece, una ricchezza da sfruttare. O, ancora, che cercare il conflitto sia segno di carattere, ma le motivazioni essenziali sono piuttosto la mancanza di sicurezza e la convinzione di poter contare solo quando si ha ragione o si vince, e non quando ci si confronta su opinioni e capacità reali.

Dietro il conflitto, poi, vi è sempre qualche pecca dell’educatore, come il non tener conto dei desideri, degli obiettivi e, spesso, delle qualità dell'allievo, o la paura che accettare una sua soluzione significhi perdere autorità e prestigio.

Alla base del conflitto, quindi, vi sono cause da scoprire ed errori da correggere, altrimenti possiamo vincere perché siamo più forti o perché manipoliamo meglio i fatti, ma non risolviamo il problema e, anzi, disperdiamo energie che potremmo impiegare sicuramente meglio in un clima di cooperazione.

La soluzione di un conflitto non è facile, perché si rischia di guastare ancora di più il rapporto, o di dover rinunciare a punti di vista che ci sembrano giusti.

La prima tentazione è ignorarlo, ma non si può, perché nel tempo il conflitto irrisolto investe tutti i comportamenti e sfocia nel desiderio di imporsi e di sconfiggere l'avversario. Nel conflitto, infatti, ognuno è convinto di avere ragione, perché la posta in palio non è la verità, ma la supremazia e la sconfitta dell'altro. Non meravigli questa componente di ostilità presente anche nello sport, e non illudiamoci di poterla sconfiggere facilmente, perché la ricerca della supremazia sull’altro è tanto più ostinata quanto più profonde sono le insicurezze e la conseguente incapacità di risolverle in direzioni costruttive.

Quindi, se cerchiamo sempre di lasciar sopire il conflitto, creiamo un rapporto ambiguo, in cui crescono i malintesi e l'attesa che tutto vada a posto da solo, senza mai sapere quali sono le reciproche opinioni. E anche se a volte ci sembra di averlo sopito, alla fine perdiamo autorità e autorizziamo gli allievi esasperarlo e a creare altri conflitti.

La seconda tentazione è troncarlo con la nostra autorità, ma in questo modo ci troviamo dei nemici pronti a rifarsi o a tirare i remi in barca per farci la guerra, perdiamo autorevolezza e non arriviamo mai a una soluzione.

Solo un confronto può stabilire qual è e dove sta la verità e, se ne siamo sicuri, senza paura di difendere fino in fondo le nostre posizioni, o di modificarle se il nostro "avversario" mostra di avere ragione. E senza dimenticare che il conflitto, il più delle volte, non riguarda la realtà in sé e il desiderio di far valere delle giuste ragioni, ma la volontà di prevalere o di sconfiggere l'altro.

A volte, pur cercando in ogni modo di risolverlo, non si viene a capo di nulla e allora non è il caso di avere paura di guastare ancora di più il rapporto. Se un allievo non ne vuole sapere di rispettare le regole è meglio risolvere la questione mettendolo fuori, affinché non disturbi il lavoro del gruppo.

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