Le domande degli allenatori

La crisi dell'atleta. Se siamo con i giovani, una crisi perché cambiano il fisico o i problemi e il rapporto con l'ambiente è fisiologica e non preoccupa.

Spieghiamo al ragazzo che il problema è passeggero, e non mostriamoci delusi perché adesso non ce la può fare, o non illudiamoci che basti incitarlo a dare di più o umiliarlo perché sopperisca con maggior impegno. Un'altra volta, però, informiamo i ragazzi di questa evenienza, abituiamoli a guardarsi dentro e a capirsi, a dare quello che hanno senza farsi condizionare dal momento più o meno favorevole, e valorizziamo ciò che sanno fare, anche quando è poco.

Altre volte, in crisi sono tanti

In questi casi forse abbiamo trascurato qualcosa o fatto qualcos'altro che li ha messi in difficoltà. Non pensiamo, quindi, a una soluzione pronta, ma cerchiamo le cause, altrimenti mettiamo solo una toppa. E se siamo stati noi a crearla o a non prevenirla, risolviamo prima i nostri errori. In ogni caso, cerchiamo insieme i perché e le contromisure, in un clima in cui si parli, s’indaghi, si chieda e ci si spieghi, perché se facendo di testa nostra non l'abbiamo prevenuta prima, è difficile che la possiamo risolvere adesso. E se ci mancano le conoscenze per cambiare metodo e non esasperare ciò che abbiamo sempre fatto, facciamoci aiutare.

La crisi della squadra

A volte la crisi viene dai risultati o da difficoltà dei suoi uomini più rappresentativi, ma ci sono anche limiti della squadra.

Noi facciamo quello che possiamo, ma è poco se non abbiamo atleti che fanno la loro parte. Li possiamo portare fino ad un certo punto, ma di lì tocca a loro, con la decisione, la creatività, la fantasia, l'impegno non imposto, il coraggio per fare e provarci anche quando sembra troppo difficile, l'ingegno e tutto ciò che ci dobbiamo aspettare da una vera squadra.

Il nostro compito è portarli nella zona della sicurezza personale, dove ognuno sa quanto valgono e che ce la può sempre fare o, almeno, se la gioca comunque tutta. È facile a dirsi, ma se riusciamo a togliere qualche freno ai nostri sistemi e abituiamo la squadra a giocare sempre per prendere quello che viene di meglio da ogni partita, è probabile che non entriamo nelle crisi o che ci sappiamo uscire.

Dubito, invece, che serva chiudersi nello spogliatoio per richiamare tutti alle proprie responsabilità: ognuno cerca di defilarsi e di salvare prima di tutto se stesso. Se, poi, si pensa che la squadra continua la crisi perché non sa come uscirne, e ovvio che il richiamo alle responsabilità cade nel vuoto.

Può invece servire se lo facciamo per cercare di capirne i motivi, aiutare ognuno a vedere bene i propri e a correggerli e prospettare insieme la strategia e gli strumenti per uscirne. Ma evitiamo sermoni, accuse, multe, minacce o decisioni dure del tipo "tutti in ritiro". Gli atleti sono già abbattuti e confusi per conto loro e c'è sempre il rischio di peggiorare la situazione. E sdrammatizziamo, specie quando la crisi continua perché vi sono scoraggiamento e sfiducia.

Partiamo sempre dal presupposto che gli atleti vogliano risolverla, ma se qualcuno trama contro, parliamo meno e prendiamo provvedimenti. La soluzione, comunque, non può essere un processo neppure quando vi sono dei colpevoli, ma un chiaro e sereno confronto dal quale tutti, e specie quelli che cercano di fare la loro parte, possano chiarirsi le idee e mettere in pratica le necessarie misure. E se i colpevoli ci vengono dietro, bene, altrimenti vanno fuori.

Qualche volta siamo in crisi anche noi

Se entriamo nello spogliatoio solo per accusare chi ha sbagliato, per sfogarci o anche per dare la soluzione senza cercare di capire le difficoltà e le intenzioni di ognuno, non andiamo più in là di un tentativo, e non possiamo capire cosa ci possono proporre il singolo e la squadra. D'altra parte, urlare o minacciare non serve: sanno che qualche colpa l'abbiamo anche noi, e tante volte non hanno neppure motivo di spaventarsi, perché la soluzione più a portata di mano è che probabilmente saremo noi i primi a pagare.

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