Le domande degli allenatori

La classifica e i tornei con vincenti e perdenti sono utili per la crescita educativa?

La classifica, che è la misura della continuità e delle forze della squadra, non è negativa in sé, ma per i significati che le attribuiamo noi adulti, allenatori o genitori. Il bambino gioca una partita per volta e, sia che la vinca o che la perda, la finisce con il fischio di chiusura per cominciarne un'altra da zero, senza provare disagi o vergogna per la sconfitta o per la classifica.

A provare disagio siamo noi, quando vorremmo solo vederli giocare per la vittoria finale, non ci curiamo che imparino dalla gara e non ci chiediamo se i trucchi e i marchingegni usati per vincere oggi non siano le premesse per non riuscire a vincere quando conterà davvero per provare soddisfazione nello sport. Più tardi è ancora più importante, perché il giovane cerca una misura di sé e delle sue possibilità, è stimolato a migliorare e sviluppa un legame più stretto con lo sport.

Nello sport ci sono anche quelli meno dotati, che patiscono se sono sempre votati alla sconfitta. La classifica diventa allora negativa quando c'è troppa differenza di forze tra le squadre e la vittoria è l'unico obiettivo dello sport.

In un torneo le partite sono poche, chi perde va fuori e l’importanza è solo momentanea, ma neppure i tornei possono essere immaginati come allenamenti nei quali non conta il risultato. In un campionato, invece, chi va in fondo magari ci sta per tutta la stagione, i giocatori sono scoraggiati, noi siamo delusi e i genitori, sempre convinti che i loro figli valgano molto di più, ci contestano, oppure li portano via o li seguono con distacco, e la società ci guarda male e pensa che non siamo gli allenatori giusti. Neppure in questo caso, però, la colpa è della classifica: chi vince vuole essere riconosciuto, e il riconoscimento è una forte motivazione a migliorare nello sport. La causa è piuttosto la troppa differenza di forze, perché quando non si può vincere e perdere diventa anche difficile parlare di sport.

Una cattiva interpretazione della classifica può addirittura essere negativa per la squadra che è davanti: cominciano i calcoli e se basta un punto, si gioca per un punto, in pratica non si gioca e non s’impara, c'è paura di essere raggiunti e si gioca con troppa tensione. Oppure, le altre squadre mollano perché intorno a loro è caduto l'interesse e perché non serve a nulla, e così si gioca un campionato che oltre la vittoria non dà altro.

In definitiva, ritengo utile che ci sia una classifica, che è prova della forza di una squadra e un forte stimolo, ma consideriamo che può anche essere un freno. Capita per esempio anche in serie A che certe squadre cominciano a giocare davvero quando sono tagliate fuori dalla classifica e non hanno più niente da perdere, o che altre vanno bene finché non devono confermarsi per forza e non possono deludere.

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