Le domande degli allenatori

Qual è il comportamento di atleti e allenatore che può influenzare i giudici e i direttori di gara? Come si può aiutare un atleta a superare la sudditanza psicologica? 

Questo allenatore pone due quesiti: come si può indurre la sudditanza psicologica e come si possono aiutare gli allievi a liberarsene.

Il primo quesito

I giudici e i direttori di gara hanno il compito di far rispettare le regole, noi abbiamo il compito di fare la nostra gara. È però ovvio che noi cerchiamo di dilatare le regole a nostro favore e che loro cerchino di farcele rispettare.

Teniamo comunque presente che l'arbitro sarà molto più attento e sicuro delle proprie decisioni nei nostri confronti se siamo leali e corretti, se non teme che un suo errore diventi un pretesto per dargli contro e se creiamo un clima in cui possa svolgere serenamente il proprio lavoro.

La domanda potrebbe riguardare due situazioni. Una si riferisce a un eccessivo timore nei confronti degli arbitri e a una sudditanza dei giocatori. Si tratta di una situazione difficilmente credibile, poiché l'arbitro è un elemento esterno al gruppo che non giudica, e decide secondo regole precise.

Un’altra è maliziosa: come fare per indurre sudditanza psicologica in un arbitro? È vero che può esistere, ma è dovuta al potere della società, o magari a qualche suo modo di reagire che, in altri casi, può aver messo in difficoltà qualche arbitro. Ed è vero che, a volte, l'arbitro s’impressiona per certi modi reattivi o per le esibizioni di vittimismo o d’ingiustizia e ne viene influenzato, ma è meglio lasciar stare e pensare a giocare, cosa che alla fine ci sarà molto più utile anche per vincere, perché ci abituerà a una maggior sicurezza.

Il secondo quesito

A volte si vede una specie di sudditanza psicologica verso qualche avversario più conosciuto o verso una squadra. Come fare per superarla?

Innanzitutto, occorre capire da che cosa deriva. La sudditanza psicologica verso un avversario è causata da una mancata conoscenza di se stessi e dalla sfiducia nelle proprie possibilità e, negli sport di squadra, dalla sensazione di essere soli ad affrontarlo, invece che di giocare in un collettivo, ma anche da certi errori di conduzione che creano dubbi e insicurezza. Per esempio, l'abitudine di regolarsi troppo sull'avversario e di cercare il risultato a scapito del gioco, l’eccessiva paura di perdere, le partite troppo cariche di tensione o la sconfitta trattata come una colpa, e quasi mai per quello che si è comunque fatto, sono difetti frequenti che si manifestano già nei settori giovanili.

Sarebbe auspicabile, invece, vedere che l'allenatore apprezza ciò che l’atleta o la squadra fanno anche quando non riescono a vincere. Questo non significa accontentarsi né, tantomeno, rinunciare a vincere ma, anzi, è l'unico modo perché l’atleta o la squadra entrino in campo consapevoli che il risultato dipende da loro e convinti che la valutazione dipenderà da quello che hanno fatto, che sono le condizioni più favorevoli per vincere.

Il rimedio contro la sudditanza psicologica

Il rimedio contro la sudditanza psicologica, che non garantisce di vincere, ma di esprimersi al livello possibile, è di allenare già i bambini a giocarsela sempre tutta in ogni momento della gara, anche quando non si è sicuri di potercela fare e indipendentemente dall'avversario, dalla gara in casa o fuori o dal punteggio già acquisito. Spesso, per esempio, l’atleta entra in campo già sconfitto, con una profezia in testa che taglia le gambe e si autoverifica. Oppure, la squadra si ritira in difesa o smette di imporre il proprio gioco appena passata in vantaggio. A volte questa “prudenza”, che è meglio chiamare paura, sembra utile o può salvare un risultato, ma l’atleta o la squadra non allenati a reagire e a cercare di imporsi non arrivano mai a usare tutte le risorse e, fattore mai abbastanza considerato, la loro paura dà coraggio all'avversario.

Comunque, l'avversario più forte c'è, ma se lui vale dieci e noi solo sei, il nostro sei dobbiamo essere abituati a tirarlo fuori sempre, mentre non ha significato cercare di sminuirlo a parole per dare coraggio, o di farne risaltare ancora di più la forza per stimolare maggior impegno. La sudditanza psicologica, infatti, deriva dal non conoscere la reale forza dell'avversario, ma ancora di più dal non fidarci della nostra, e dall'adeguare a esso il proprio gioco, mentre la sicurezza è giocarci sempre tutte le nostre carte, tante o poche che siano.

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