Le domande degli allenatori

Se do confidenza rischio di perdere il mio ruolo. Non è giusto rifiutare il rapporto? 

C’è chi lo fa perché crede che significhi consolare gli allievi per le sconfitte invece di punirli, concedere una libertà senza limiti e controlli, permettere che reclamino di far valere opinioni infondate o cedere ai desideri o alle pretese che pretenderebbero di imporre. 

Quest’atteggiamento dell’allenatore significa avere paura di perdere autorità e di non poter più dare ordini precisi, che gli allievi gli prendano la mano e perdano rispetto nei suoi confronti. O di non essere abbastanza freddo per gestire una situazione in cui non può imporsi anche con la durezza. Ha ragione, perché l’allievo che non si ritiene considerato per i suoi meriti, è trattato da succube, non è stimolato a fare insieme e vede che le sue idee sono ignorate o non rispettate, difficilmente fa la propria parte, mentre è facile che tenti di eludere anche le richieste legittime.

In questo clima, l’allenatore stabilisce e impone gli obblighi e le regole, ma non è mai sicuro di essere seguito, poiché sono gli allievi a scegliere se rispettarli. Rifiuta che possano dire la loro e abbiano voce in capitolo sulle cose che li riguardano perché ha paura di adattarsi a un rapporto che gli toglierebbe autorità, ma gli allievi alla fine metteranno in atto una resistenza passiva che peserà anche sui risultati, fino a passare al conflitto, che per l'allenatore è la vera perdita d’autorità.

Senza rapporto, è difficile insegnare, correggere, aspettarsi precise risposte e rinunce, far acquisire esperienze, o chiedere collaborazione e comportamenti adulti e adeguati. Gli allievi non sono motivati a rispondere, poiché si sentono trattati come materia su cui lavorare, e intanto vogliono dire la loro ed essere importanti, ma lo fanno male. E allora devono essere frenati, ma si ribellano e cercano la provocazione, le iniziative non misurate o il rischio, per dimostrare che contano. Non potendo sviluppare rapporti adulti, continuano a comportarsi da bambini, oppure si adattano, ma con risultati ugualmente deludenti, perché chi li guida non si può presenta e offre come figura autorevole, sempre presente, disponibile e consapevole della propria posizione senza bisogno di difenderla o di portare i contributi sotto forma d'imposizione.

Anche un allenatore quieto riesce spesso a mantenersi distante e a rafforzare la differenza che separa il suo ruolo da quello degli allievi. Può condurre la squadra apparentemente senza creare conflitti, ma anch'egli non è sicuro di essere autorevole. Vediamo gli effetti di questo modo su degli adolescenti. Non creano problemi, perché non hanno bisogno di trattamenti particolari. Sono convinti che l'allenatore faccia bene il suo mestiere, ma intanto stanno sempre passivi aspettando di essere imboccati. Non si perdono in dubbi perché trovano le soluzioni già pronte, e non fanno osservazioni, ma non portano mai un'idea o una proposta. Evitano di chiedere, perché non si aspettano nulla di diverso.

L’allenatore si mantiene invariate e salde le proprie opinioni, ma non evolve, anche perché non assorbe nulla dagli allievi. Quando deve intervenire sugli errori e sulle trasgressioni, piuttosto frequenti, perché gli allievi non sono mai responsabilizzati e non hanno motivo di impegnarsi per essere costruttivi, non trova resistenze palesi e clamorose, perché si accontentano di vivacchiare e non hanno interesse a creare un conflitto. Trova invece opposizioni sotterranee e silenziose, come il disinteresse verso ciò che non è espressamente richiesto, ma dovrebbe far parte dello sport, impegni assunti e subito dimenticati o mai portati a termine, mancanza d'applicazione negli allenamenti o accettazione passiva di tutto senza chiedersi se non si potrebbe fare altro o meglio.

Non sa cosa potrebbero dare e cosa lo impedisce, poiché si accontenta che mettano in pratica ciò che insegna e chiede. E non saprebbe come fare se dovesse affrontare una crisi, poiché non li ascolta, e quindi non può rendersi conto di come vivono il problema e scoprire le soluzioni più adatte per ognuno. D'altra parte gli allievi non chiedono aiuti, perché si accontentano di fare uno sport senza acuti, ma anche senza disagi.

Non c’è conflitto, ma neppure quell'intesa e cooperazione che sono la base della fiducia e della confidenza. Gli allievi non temono un giudizio, perché l’allenatore non si scompone mai, e quindi non hanno l’esigenza di opporsi, ma intanto non hanno l'opportunità, o il desiderio, di usufruire delle opinioni e dei consigli più collaudati che potrebbe offrire. Oppure, nel caso migliore, gli chiedono solo un aiuto protettivo che li sollevi da ogni responsabilità.

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