Le domande dei genitori

Un genitore dichiara la propria soddisfazione per il rapporto che ha saputo instaurare con il figlio. Per un’intuizione personale, è passato da un sistema direttivo, da adulto che sa a giovane che deve soltanto imparare, a una condivisione che rende entrambi artefici attivi del rapporto. L’età in cui un giovane pretende di contare è calata, ma non si è riusciti a renderla produttiva, come dimostra il disagio di tanti che sono privi di autonomia, iniziativa e di una chiara identità. E il rapporto che vedeva il genitore come autorità e il figlio che doveva aspettare l’età adulta per essere considerato capace di pensare e decidere non regge più.

Le tante possibilità del rapporto

Quando si parla di rapporto nell'educazione, di solito ci si riferisce a un benessere affettivo che unisce un adulto a un giovane ed elimina i contrasti. È già tanto, ma c’è molto di più. Innanzitutto, occorre considerare che il comportamento dell'educatore è un messaggio che influenza un giovane e gli trasmette i modi della vita adulta.

Esaminiamo alcuni effetti che produce un rapporto com’è descritto in questo sito. Si parla di un giovane, figlio o allievo, che assimila, si adegua e arricchisce con i propri contributi ciò che trasmette un adulto che, come risposta, modifica opinioni e comportamenti per seguire la sua trasformazione. In questi casi, la differenza di ruoli e conoscenze, che altrimenti creerebbe squilibri, non è un ostacolo, ma diventa un fattore di evoluzione. Nel rapporto, infatti, si decide e si fa insieme e, così, un giovane può appagare il suo stimolo più forte, che è il desiderio naturale di colmare il divario che lo separa dalla figura adulta dell’educatore.

Il rapporto, però, offre anche altri vantaggi. Permette di intervenire sugli errori e sulle trasgressioni senza stimolare resistenze o opposizioni, perché rende il giovane artefice attivo anche quando deve correggersi, rinunciare a un appagamento o sopportare un disagio. Purché ovviamente, l’adulto non condanni né punisca l’errore, ma proponga una condizione più efficace, e gli offra la certezza di essere comunque apprezzato. Tenga conto della sua capacità di partecipare e avere voce nelle decisioni, nella soluzione dei problemi e nella correzione dei propri errori. Intanto, però, ammetta e riveda propri eventuali errori, e modifichi qualsiasi posizione che lo possa influenzare in modo negativo. In ogni caso, prima di qualsiasi intervento, analizzi con lui i motivi dell’errore e i modi per risolverlo, altrimenti impone una costrizione, ma difficilmente ottiene un cambiamento. E, intanto, stia attento che l’impreparazione e i conseguenti errori del giovane non influenzino la qualità del comportamento educativo.

Consente di ascoltare, un'opportunità che non fa parte dei metodi che forniscono solo informazioni e modelli rigidamente delimitati e prestabiliti che escludono critica, intesa e cooperazione, e non consentono a un giovane di capire e portare contributi. Ascoltare, però, non significa soltanto lasciar parlare, ma capire se ha un problema e scoprire le soluzioni più adatte per risolverlo, valutarlo e apprezzarlo per le intenzioni e i tentativi per essere concreto senza farsi condizionare dai risultati immediati, e aiutarlo a trovare la propria soluzione.  Più di tutto, però, l’adulto può assisterlo nelle sue incertezze e difficoltà, conoscerne le risorse e le capacità e rassicurarlo di poter sempre contare su un aiuto autorevole. Attribuisce un’obiettiva considerazione alle intenzioni e ai tentativi di concretezza e, in questo modo lo incoraggia e lo rassicura indipendentemente dai risultati immediati. E, infine, non si limita a condannare l’incapacità  e non si lascia condizionare dagli errori. Arriva a conoscere le sue difficoltà e risorse e, in base ad esse, può adottare gli interventi più appropriati per formarlo. In questo modo, interviene con aiuti concreti, quelli che altrimenti non ci sarebbero richiesti o che tante volte si vorrebbero offrire ma non si sa come. Non sempre, infatti, i giovani arrivano da soli alle soluzioni o si sanno sottrarre ai pericoli. In questi casi, è evidente come soltanto il rapporto possa sviluppare quel clima di confidenza e Intesa che permetta loro di chiedere aiuti senza che debbano temere un giudizio e sentano, poi, la logica esigenza di opporsi. In assenza di un rapporto, quindi, i figli non hanno l'opportunità o il desiderio di usufruire delle opinioni e dei consigli più collaudati che potrebbero ricevere, oppure, nel caso migliore, chiedono soltanto un aiuto protettivo.

Nello sport, la differenza riguarda la trasmissione degli aspetti della professionalità che sono impliciti nel vivere adulto. L’istruttore deve essere più attento ad aiutare tutti ad addentrarsi nello sconosciuto per scoprire le proprietà del proprio talento, a condurre un insegnamento che si adatti alle qualità di tutti e a un lavoro fondato sulla cooperazione di ognuno. Un’altra differenza, perlopiù non considerata, è che lo sport non scopre le qualità dando compiti sempre più complessi da svolgere, come deve fare, per esempio, la scuola. Assiste l’allievo mentre sperimenta il nuovo e, ad ogni passo, si avvicina all’autonomia e all’iniziativa libera per imparare a scegliere e decidere da solo, perché lo sport non chiede soluzioni pronte per ogni circostanza, ma la capacità di creare all’istante quella più utile in ogni situazione.

Certo, anche in questo tipo di rapporto è necessario porre freni e correggere, ma un istruttore che accetta i contributi positivi e lascia sempre aperta la via della cooperazione e dello scambio, riesce a stabilire che cosa debba essere accettato o rifiutato senza cadere mai nel conflitto.

Vincenzo Prunelli

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