Lo sport

Il piacere del gioco, ad ogni livello, è più utili del dovere, della fatica e del sacrificio. Grandi campioni hanno detto. “quando non mi divertirò più, smetterò”. E così hanno fatto.

Il gioco

Parlare semplicemente di “giocare” dove si tratta soprattutto di prestazione, vittoria e sconfitta, rendimento o carriera può sembrare un semplice esercizio di scrittura, ma anche il più grande campione inizia la carriera giocando.  

Prima lo fa per crescere, perché gli permette di appagare le motivazioni che porteranno alla vita adulta: prova il piacere per ciò che riesce a fare, si diverte, prova il gusto di scoprirsi sempre nuove capacità, si confronta con l’amico e non contro l’avversario, fa sempre meglio e prende coscienza dei propri mezzi e dà spazio a inventiva e fantasia. È il periodo in cui non c’è ancora, o almeno si spera, l’esperto che gli vuole insegnare lo sport dell’adulto, chiede più di quanto il bambino possa dare, ma lascia che faccia ciò che gli è possibile per rassicurarsi di poter migliorare. E non ha ancora bisogno di stare dentro precise regole, perché quelle che gli servono per indirizzare l’iniziativa e imparare a esprimersi in libertà se le costruisce da solo.

Poi, da quando entra nello sport verso i sei anni fin dopo i dieci, ha un istruttore che lo avvia al gioco con regole e obiettivi. Deve farlo gradualmente, perché chiedergli prestazioni o gesti impossibili quando gli manca ancora tutto per realizzarli significa reprimergli il talento, che si esprime quando i mezzi fisici, tecnici, psicologici lo permettono. Si pensi all’armonia e alla forza fisica, alle abilità non ancora scoperte o inesistenti, all’incapacità di costruirsi uno schema mentale astratto o all’impreparazione ad avventurarsi nel nuovo e nello sconosciuto, come richiede la scoperta del talento.

Quali sono gli effetti del gioco sullo sviluppo? Come si dice anche in altre parti del sito, il gioco e lo sport sono importanti strumenti educativi. Il bambino inizia a sentirsi protagonista, impara a differenziarsi dagli altri e sentirsi unico, si abitua a proporsi per far valere le proprie qualità, impara a vincere e perdere senza uscire dalle proprie misure o sentirsi sconfitto. Socializza e si abitua a confrontarsi su ciò che sa e riesce a fare senza ricorrere a trucchi o slealtà, che si può chiamare gioco pulito. Qualcuno lo confonde con il gioco troppo buono, frenato e perdente, ma saper scovare e impiegare le proprie forze e abilità sviluppa sicurezza, autostima e coraggio per non tirarsi indietro di fronte a ciò che sembra troppo difficile, che non sono certamente qualità “deboli”.

Il gioco ha effetti sui piani nobili della mente, perché sollecita l’ingegno, la creatività, l’iniziativa libera, l’intuizione, l’invenzione, l’analisi e la sintesi. In pratica, agisce sull’intelligenza, e non solo sul versante psicologico. Ha, però, bisogno di essere piacevole e interessante, perché in questo modo stimola la produzione di sostanze che hanno effetti sull’umore, sulla lucidità, sull’efficienza e, addirittura, sulla produzione di nuove cellule nervose nel cervello. Non può, quindi, essere proposto come un lavoro monotono e fondato sull’esecuzione, la ripetizione e la fatica, perché sarebbe ugualmente dannoso per i talenti e i meno dotati.

Più tardi, lo sport diventa più apprendimento, prestazione e agonismo, ma non dovrebbe ignorare fasi di gioco libero, che agisce meno sulla specializzazione, ma continua a creare gli stessi effetti benefici che produce sul bambino.

Vincenzo Prunelli

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