Nella realtà, quasi tutto è misurabile ed esprimibile in cifre, mentre ciò che appartiene alla mente si può intuire soltanto tenendo conto che è sempre in evoluzione e può essere frenato, o anche invalidato, da influenze esterne, come un’educazione sbagliata o la richiesta di prestazioni che si sente di non poter dare. Mentre le qualità fisiche e le doti tecniche in qualche modo si possono intravedere, di quelle mentali, che si esprimono nello sport e in ogni altro campo, le valutano solamente le attenzioni e la sensibilità di chi le sa osservare.
Come scoprire il talento.
Avere talento significa possedere buone capacità tecniche ma, ancora di più, saperle usare e, per questo, si deve pensare a un buon livello d’intelligenza, intuizione e prontezza nel capire e decidere. Nei primi tempi dello sport, anche se è più normale che si soffermi sulle abilità fisiche e tecniche, l’istruttore ha l’opportunità di osservare una lucidità, un’arguzia e un’immediatezza non ancora solita per l’età. Nota un’attenzione più durevole, perché il talento ha più gusto di sapere, chiede spiegazioni facendo collegamenti inattesi e, spesso, anticipa le conclusioni. Vuole sapere, e si vede subito che questa curiosità vivace produce domande appropriare e favorisce un processo di apprendimento rapido anche di ciò che è complesso. Nel giovane più dotato che, quando sente sempre le stesse cose, si annoia e si distrae, e fa domande soltanto sollecitate dalla fantasia, la curiosità è desiderio di sapere.
Ha una buona memoria perché immagazzina conoscenze subito chiare, e assimila le informazioni senza necessità di sforzarsi troppo per capirle. È precoce nell’affrontare questioni che gli altri non riescono a percepire, probabilmente anche per la comparsa più precoce di tracce del pensiero astratto, che gli permette di sviluppare una visione che va oltre il “qui e ora” del coetaneo medio. Riflette, quindi, anche su qualcosa che non è presente, e fa collegamenti tra concetti e situazioni soltanto immaginate. L’adulto lo riconosce quando parlano insieme: si rende conto di essere seguito e di sollevare una curiosità non banale, e per questo sente di poter aumentare il tono e la complessità del discorso. Non sempre, però, al talento basta la vivacità intellettiva. Può trovarsi in difficoltà quando le cose da ricordare sono troppe, il livello d’insegnamento non è consono al momento di sviluppo o, semplicemente, è eccessivo, e allora non gli basta più avere facilità di apprendimento e buona memoria, ma deve impegnarsi per capire e vedere gli sviluppi di ciò che gli insegnano.
S’interessa a più temi seguendo associazioni soltanto sue, legate a interessi personali non inerenti alla situazione presente. In pratica, esce dalla situazione reale perché segue anche pensieri estranei o astratti. A volte è noioso, chiede perché vuole fare, provare o approfondire qualcosa di nuovo, o parlare di cose non possibili con i coetanei.
A volte può sentirsi solo. Non lo interessano opinioni degli altri e a loro le sue, perché hanno profondità e contenuti diversi, una creatività e un’originalità più vivaci che esplorano anche campi sconosciuti, e il gusto a indagare il nuovo, che gli offre opportunità che gli altri non vedono. Nel gioco sa vedere opportunità e soluzioni diverse. Anche ogni talento è unico, ma tutti hanno capacità più spiccate di adattarsi alle novità, e arrivano più facilmente a capire, collaborare e avviare un’azione comune. È per questi motivi che, in una squadra troppo disomogenea, un talento e gli altri lavorano a livelli d’intuizione, creatività e iniziativa che non si possono sommare, o anche soltanto che i migliori giocano tra loro e lasciano ai margini gli altri, perché non si capiscono, e in questi casi non può svilupparsi un collettivo.
Più tardi, quando avverte il desiderio di partecipare di più a quanto sta avvenendo, il talento si differenzia per la capacità e la rapidità di arrivare a soluzioni impreviste, perché ha buona capacità di prevedere e di mettere insieme i collegamenti tra le conoscenze. In concreto, propone e porta a termine iniziative più sicure perché, quando affronta una situazione sconosciuta o vuole provare il nuovo, ha la certezza di saperlo fare.
Anche il talento è ansioso, specie nei confronti della prestazione. Si sa che si fa meglio l’imprevisto piuttosto che essere ossessionati dalla vittoria a tutti i costi, dalla paura di un giudizio negativo o dal prendere ogni tipo di precauzioni per essere oltre il massimo. Tutte queste sollecitazioni fanno competere con la paura di perdere, che è il più grosso limite al rendimento. Lo sanno bene gli osservatori, che preferiscono visionare un ragazzo senza che sappia di essere osservato.
Vincenzo Prunelli
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