Lo sport

Lo sport è considerato uno strumento importante per il soddisfacimento di molti bisogni, crea occasioni d’incontro e di confronto e favorisce la percezione che ognuno ha di se stesso . Viene spontaneo chiedersi, quindi, quali siano i motivi che spingono i giovani ad allontanarsi dalla pratica sportiva.

Con il termine drop-out si fa riferimento al fenomeno dell’abbandono precoce dello sport da parte degli atleti (circa il 20% dei ragazzi e il 40% delle ragazze interrompono prematuramente l’attività sportiva). “Drop-out” letteralmente significa “cadere fuori-ritirarsi”, “sgocciolare”: nel corso degli anni gli atleti si perdono per strada come le gocce di una spugna. Le motivazioni dell’abbandono sportivo seguendo lo sviluppo del modello Eriksoniano, s’individuano quattro tappe fondamentali o momenti dell’evoluzione della carriera di uno sportivo: l’inizio, la prosecuzione, l’orientamento verso la stabilizzazione, l’interruzione, l’epilogo. Nello specifico, la fase della prosecuzione comporta la scoperta dei vantaggi strumentali e il riconoscimento che gli stessi atleti hanno del proprio saper fare nelle loro competenze sportive. Dall’andamento di questa fase della carriera agonistica dipende la stabilizzazione o l’interruzione della stessa e, più precisamente il fenomeno del “drop-out”.

Le ricerche internazionali evidenziano la doppia natura dell’abbandono sportivo: da un lato il prodotto di esperienze e relazioni sociali negative (ansia pre-agonistica, assenza di successi, monotonia degli allenamenti, difficile coesione del gruppo, rapporti con l’allenatore); dall’altro, l’abbandono sportivo è dovuto alla difficile compatibilità con gli altri interessi. Le cause che inducono i giovani all’abbandono dell’attività agonistica possono essere sociali psicologiche e legate alla disciplina. Sociali, poiché i cambiamenti socio-culturali e il progresso hanno determinato nuovi stili di vita giovanili, una vastità di nuovi interessi e tecnologie che potrebbero frenare l’impegno in un’attività che richiede fatiche e rinunce e non paga immediatamente. Psicologiche, in questo contributo si riporta l’interpretazione della Vincenti (1992) che definisce lo sport come un fenomeno transizionale.

L’autrice sostiene che se a un livello superficiale si potrebbe attribuire l’abbandono sportivo alla perdita dell’interesse per lo sport e per l’agonismo, alla mancanza di successi o all’assenza di tempo e di voglia, a un livello più profondo si nota che quando lo sport non rappresenta più un’area in cui il soggetto può sperimentare i propri bisogni regressivi, i propri processi di separazione e la propria aggressività, l’attività sportiva diventa un luogo di frustrazione. Quindi l’abbandono dello sport, nella maggior parte dei casi, può essere interpretata come il bisogno da parte del soggetto di trovare altre aree transazionali, in cui poter sperimentare e ricercare ancora soddisfazioni ai propri bisogni profondi. Nei casi più sofferti, invece, l’abbandono sportivo come la fuga da un’esperienza divenuta intollerabile, con un conseguente senso d’impotenza e di sconfitta da parte dell’atleta. Se si esaurisce, o si smarrisce, il senso dello sport come area transazionale, i significati che il giovane atleta ricercava nell’esperienza motoria non si trovano più e i vissuti non corrispondono più alle aspettative del ragazzo e l’effetto di ciò è l’abbandono sportivo (Sandra Vincenzi, 1992).

Per concludere, l’abbandono può avere anche cause legate alla disciplina sportiva. Il soggetto, ad esempio, può rendersi conto di essere meno dotato degli altri e, non essere più disposto a misurarsi con loro per non vivere degli insuccessi; in altri casi, il soggetto, può essere stanco dell’agonismo. E di essere trattato come un piccolo professionista troppo sollecitato affinché vinca sempre; o ancora, può vivere rapporti difficili con la società e con l’allenatore che non lo apprezzano e non lo considerano come desidera. Sono tutte situazioni in cui i giovani, spesso, rimangono coinvolti, e che rivelano sia la debolezza propria di questa fascia di età, sia la cecità o l’egoismo delle persone che dovrebbero educare.

Di seguito elenchiamo alcuni fattori che possono determinare un precoce abbandono sportivo:

  • Ansia preagonistica. Alcuni atleti rendono di più nell’allenamento che in gara, poiché anche a causa della giovane età non sempre riescono a gestire il vissuto emotivo in modo ottimale;
  • Mancanza di successo. Ogni atleta vive la gara come una meta significativa. Se le aspettative sono ripetutamente deluse, lo sport si carica di connotazioni negative generatrici di amarezza e frustrazione;
  • Monotonia dell’allenamento. Spesso è poco produttivo ed è protratto oltre il limite di comparsa della noia, senza dare obiettivi alternativi e diversificati;
  • Poco tempo libero. Un’atleta impegnato agonisticamente nello sport può sentire la mancanza dei propri amici perché non riesce a frequentarli come vorrebbe, e sentire, quindi, l’esigenza di abbandonare lo sport per non lasciarsi emarginare;
  • Rapporti con l’altro sesso. Non tutti i gruppi sportivi favoriscono il rapporto tra i due sessi;
  • Difficoltà scolastiche. Affrontare e sostenere contemporaneamente due attività impegnative come la scuola e lo sport è spesso vissuto con difficoltà. Quando i professori lamentano scarso rendimento scolastico, indirettamente, anche, pressioni affinché il ragazzo abbandoni l’attività agonistica;
  • Assenza di divertimento e di successo;
  • L’integrazione nel gruppo. Lo sport, per sua natura, salvo alcuni casi, favorisce più l’espressione dell’individualità che non quella della coesione; bisogno, invece, fondamentale in questa fase della vita dell’adolescente;
  • Il rapporto con l’allenatore. Quando non è soddisfacente, è la causa più decisiva dell’abbandono sportivo. Il ragazzo pur “proiettando” valenze genitoriali ideali nei confronti del proprio istruttore, non sempre si sente capito, o addirittura lo percepisce come un impedimento alla propria crescita e alla propria autonomia.

Sono molte le responsabilità dello sport nel fenomeno dell’abbandono e, in particolare nella programmazione dei metodi di allenamento utilizzati. L’applicazione di un metodo di allenamento standardizzato, che predilige le esecuzioni e le ripetizioni; la richiesta di un agonismo sbagliato, basato sul giocare solo per vincere e con ogni mezzo oltre ad essere un limite per il rendimento, va contro il piacere del gioco e del gusto del divertimento stesso. Di conseguenza, l’atleta fa uno sport che lo condiziona, senza, però, lasciare spazio alla sua persona, non lo coinvolge e lo porta, in tal modo, ad allontanarsi per mancanza d’interesse (Prunelli, 2002). La conseguenza che si scatena di fronte ad allenatori troppo esigenti e metodi di allenamento che mirano non tanto a educare e a formare un giovane, ma a costruire una “macchina da risultato”, è conosciuta come burn-out, cioè il ragazzo viene subito bruciato e, tutto ciò porta, come conseguenza, al drop-out, cioè all’abbandono precoce dell’attività sportiva (Meterangelis, 2007).

La figura dell’allenatore è in ogni caso una figura molto importante per gli atleti; l’allenatore come modello d’identificazione per i suoi ragazzi sia sul piano sportivo sia su quello umano. In genere nell’allenatore i ragazzi cercano un adulto cui far affidamento, una persona stimolante, stabile emotivamente, un leader empatico; non cercano, al contrario, né una figura eccessivamente permissiva né un leader autoritario che comanda (Meterangelis, 2007). Compito dell’allenatore è di alimentare l’entusiasmo degli atleti e dei loro genitori, costruire un sostegno reciproco e collaborazione nel trasmettere ai ragazzi il significato della vittoria, della sconfitta, degli obiettivi personali e di squadra.

In molti casi, però, sono gli stessi genitori a “aiutare” il figlio ad abbandonare lo sport, soprattutto quando notano un’eccessiva stanchezza a fine giornata da parte del figlio o ancora quando arrivano dalla scuola o dal lavoro dei segnali poco incoraggianti. In questi casi l’atteggiamento protettivo verso i figli viene fuori in modo preponderante, e il genitore consiglia (ma più spesso impone) al giovane di pensare al suo futuro e di scegliere la strada più sicura da seguire. In conclusione l’abbandono sportivo se in alcuni casi, può assumere le caratteristiche di un’elaborazione profonda dei bisogni dell’atleta, che ricerca altre aree transizionali in cui investire emotivamente; in altri casi, invece, l’abbandono diviene una fuga provocata dalla frustrazione, dalla situazione conflittuale e ansiogena che trasforma lo sport in un’esperienza intollerabile per le emozioni che genera. Per l’autrice, questo tipo di abbandono avviene quando c’è una rottura fra il dentro dell’atleta e il fuori del suo mondo sportivo, una rottura che impedisce la possibilità di continuare ad attribuire un “significato transizionale” alla propria esperienza sportiva; e tale rottura ricorda la profonda rottura esistente tra soggettivo e oggettivo, tra mondo interno e mondo esterno, nell’impossibilità di una conciliazione che faccia dello sport un’area intermedia in cui poter sperimentare questa continuità.

Università degli studi di Cassino, Facoltà di Scienze Motorie

Breve Bibliografia

  • Cei A., "Psicologia dello sport", Il Mulino Bologna, 1998.
  • Meterangelis A., "Psicobiologia dello sport", Edizioni Kappa, Roma, 2007.
  • Mismetti A., "Dispensa del Programma Multimediale per Operatori Sportivi CONI", 1984.
  • Prunelli V., "Sport e agonismo. Come conciliare testa e gambe per formare uno sportivo completo", Ed. Franco Angeli, Milano, 2002.
  • Vincenzi S., "L’abbandono e il ritorno allo sport. Lo sport come fenomeno transazionale", Ed. Luigi Pozzi, Roma, 1992.

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