Non si parla di un mondo buono, dove gli ingenui fanno i delicati e gli altri picchiano e vincono. Il “rompigli le gambe, coniglio”, urlato alcuni decenni orsono al Filadelfia dal direttore di un importante Settore Giovanile, si sente raramente, ma non è scomparso, soprattutto dalle tribune. Ragazzini che, invece di imparare a costruire con il talento, sono condizionati a distruggere il gioco con un’aggressività a volte non controllata, se non addirittura lesiva, si vedono a ogni gara, e anche tra poco più che bambini.
La crisi è colpa dei giocatori!
Il dirigente del Cagliari non è un bieco oppressore, e forse è soltanto quello che “se giocassi io darei sangue per vincerle tutte e onorare la maglia”, oppure vuole solamente dire di non avere responsabilità o mostrare grande determinazione. Non sappiamo se i giocatori del Cagliari non siano veri professionisti, giochino male volutamente, stiano tramando qualcosa contro la società, o magari abbiano già accordi con un’altra. Lasciamo perdere le ipotesi complottiste, e non perché non ci possa essere qualcosa di vero, ma perché quello usato non è il metodo migliore per risolverle.
Per non sprecare le motivazioni
Le motivazioni sono stimoli più efficaci di ordini, minacce e punizioni, perché sono impulsi naturali, la realizzazione di un desiderio o, anche, di una necessità, perché soddisfano il bisogno di procedere verso la vita adulta. Non stimolano reattività, perché lasciarle esprimere è considerazione verso il giovane e riconoscimento della capacità di essere costruttivo e responsabile. Non tutti gli adulti cadono in questi equivoci e tanti giovani percorrono un’infanzia che si potrebbe dire “fisiologica”, ma ci si deve interessare dei casi in cui non avviene nulla, ma qualcosa si può fare.
La concentrazione per la performance
La condizione che regola la performance può essere descritta anche come una concentrazione che si mantiene attiva per tutta la gara. Non è una specie di portafortuna, una suggestione o un semplice condizionamento che si recita prima dell’inizio, tipo certi cerimoniali come l’urlo di gruppo, le danze del rugby in Nuova Zelanda o gesti comuni che, in ogni caso, sono utili e fanno sentire uniti. Si tratta di creare uno stato mentale che porti a una condizione psicologica e fisica che si mantenga stabile o si possa richiamare durante la gara. L’allenatore non può proporla ogni volta, perché ognuno l’ha già vissuta, ma deve insegnare a recuperarla a ogni gara.
Avventurarsi nello sconosciuto e creare il nuovo
Nella famiglia, nello sport e meno nella scuola, s’insegna soprattutto ad assimilare e ripetere nozioni e ed eseguire comandi senza commettere errori, ma è un limite.
Ognuno è diverso, e ha mezzi e qualità che soltanto lui può scoprire quando affronta situazioni complesse che non conosce, e ha bisogno di un insegnamento e di richieste adatte. La famiglia, quando può, dà soluzioni pronte per avvantaggiare i figli, la scuola spesso si accontenta che gli allievi capiscano invece di insegnare a fare da soli, e lo sport crede che il talento sia nelle abilità, e non nel loro uso ingegnoso.
Sviluppare la resilienza per superare crisi e traumi
Nella vita ci sono prove davvero durissime da affrontare, gestire e superare; non si è mai pronti per questo, le fasi da attraversare sono durissime ed è importante accettare e rispettare i propri tempi e i propri modi per riprendere in mano le redini della propria vita e ritornare alla quotidianità.
Collettivo, effetti pratici e psicologici
Il collettivo è una condizione in continuo movimento, una mentalità costruttiva che si arricchisce man mano che si crea qualcosa di nuovo ma, se non evolve, si spegne. Si dice meno che, per averlo, è sufficiente conoscersi e giocare insieme per molto tempo ma, se si propongono invariati gli stessi sistemi, al massimo si ha un collettivo provvisorio, che dura soltanto finché si vince e non lascia insegnamenti utili.