In una recente trasmissione, si è convenuto che all’attuale scarsità di campioni nello sport si possa rimediare soltanto con un cambiamento di cultura e di metodi d’intervento nei Settori Giovanili. Il discorso sarebbe troppo lungo e non si conterrebbe in un articolo. E allora accenniamo in breve a cambiamenti culturali trattati nel sito e che lo sport trascura ancora, rinviando a uno successivo la trattazione sui metodi d’intervento.
Lo sport ha potenzialità educative quasi illimitate, ma ancora poco conosciute e sfruttate. Per renderlo educativo, però, non basta augurarselo. Occorre chiamare in causa tutti gli attori, perché cogliere i cambiamenti che stanno avvenendo negli ambienti più evoluti, dipendono dalla famiglia, dagli istruttori, dalle società sportive e dall'ambiente.
In particolare, deve modificare una cultura che avvantaggia l’atleta a svantaggio della persona, e lo deve fare già con i bambini, perché poi è difficile intervenire su modi, abitudini e convinzioni consolidate. Deve, però, fare i conti con una mentalità che non è eccessivo considerare superata. Un tecnico, per esempio, consiglia di non impegnarsi nella formazione della persona, cioè di educazione, perché oggi lo sport chiede di agire sulla prestazione. È convinto che sia sufficiente esercitare un addestramento su un soggetto che deve eseguire, ma non pensare ed esercitare e impiegare i livelli superiori dell’intelligenza; oppure, in altri termini, di considerare il talento una semplice abilità, e non un’espressione dell’iniziativa personale, della creatività e dell’ingegno.
Un cambiamento della cultura, in un campo specifico come lo sport, sembra troppo difficoltoso per l’ostacolo di influenze culturali che provengono dal suo stesso ambiente, che valuta per i vantaggi che può ottenere, non sa conciliare il vantaggio personale con quello collettivo, non insegna a sommare e moltiplicare l’ingegno, e non è attento agli effetti dei propri interventi. In questo modo, spreca soprattutto il talento, perché prende il poco subito a spese di ciò che sarebbe possibile. Non ha ancora imparato a rispettare le tappe dello sviluppo, a progettare gli interventi secondo ciò che vuole ottenere, a non proporsi sempre uguale e non confondere l’agonismo con la rabbia, la provocazione, l’ostilità e magari anche la violenza. E la famiglia cerca di dare tutto senza preoccuparsi di chiedere nulla, convinta in questo modo di preparare i figli al grande salto nella vita, ma così non li prepara all’autonomia, all’iniziativa personale e alla responsabilità.
Qualcuno è convinto che la soluzione sia intervenire sullo sportivo adulto, ma operare su uno stile di vita già definito è difficile, tanto che s’interviene sulla prestazione, perché non si sono sviluppati strumenti per modificare la personalità. È però possibile agire sui giovani, ma con metodi e obiettivi chiari. Uno sport che favorisce il talento, l’intelligenza e la personalità forma uno sportivo autonomo, responsabile, allenato all’autocontrollo, abituato a collaborare e correggersi, e naturalmente contrario all’aggressività violenta e al sotterfugio, perché con questo sport, che possiamo chiamare “pulito”, vince prima, di più e più a lungo.
Come operare per far crescere uno sportivo in un’armonia costruttiva con se stesso e l’ambiente? Prima di tutto, far coincidere lo sport con il piacere di farlo. In pratica, fare in modo che resti un gioco e non sia trattato come un sacrificio indispensabile per arrivare al successo. Non proporre traguardi impossibili, e capire che l’impegno non si stimola con minacce, accuse o punizioni. Apprezzare ognuno per ciò che cerca di fare e, quindi, valutare l’impegno e le intenzioni prima del risultato. E poi, su un piano più pratico, offrirgli l'opportunità di giocarsela tutta senza paura di una sanzione o di un giudizio negativo, lasciare che sbagli tutte le volte che ha il coraggio per cercare il nuovo e permettergli di scoprire e sperimentare le proprie forze.
In pratica, facciamo in modo che ognuno possa esprimere tutta la creatività e l’iniziativa, anche perché il creativo frenato accumula umiliazioni, delusione, senso d’incapacità e mancanza di autostima, fino a essere un possibile campione sempre inespresso, o a scegliere qualsiasi percorso per affermarsi e, spesso, diventare anche distruttivo.
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