Pillole

Attenzioni devono essere dedicate a tutti, perché l’obiettivo della formazione è lo sviluppo di tutte le qualità di qualsiasi allievo a prescindere dal talento di cui dispone. Altre, più accorte, devono essere dedicate in particolare al talento vero che si trova nei settori giovanili importanti, dove la differenza è che sono tanti e possono scambiarsi abilità tecniche di livello superiore, e non dove si pratica lo sport per tutti, in cui gli obiettivi principali sono divertirsi e fare attività fisica.

Quali attenzioni e conoscenze deve possedere l’istruttore per lavorare in una squadra con tanti talenti? Innanzitutto, conoscere gli strumenti e i metodi per scoprire le potenzialità del singolo, altrimenti può conoscere le qualità che si attribuiscono a tutti, ma non quelle di ciascuno, sulle quali deve lavorare per portarlo alla completezza dello sportivo e dell’adulto. E lasciarlo libero di fare senza aspettarsi esecuzioni perfette perché, almeno fino ai dieci, undici anni, il gioco libero offre l’opportunità di arrivare ai gesti del talento, anche se subito sono ancora elementari. Saranno perfezionati più tardi, quando i mezzi fisici lo permetteranno, ma potranno sempre essere modificati, perché la scoperta e l’invenzione iniziano con la formazione e continuano per tutta la carriera.

Scoprire e tenere in conto l’individualità di ognuno, in modo da conoscere com’è, che cosa ha o gli manca, le potenzialità e come svilupparle, come sa usare ciò che gli è stato insegnato e come arrivare alla continuità. E, dopo avere acquisito tutte queste conoscenze, l’abilità’ dell’istruttore sta nel trasmetterle all’allievo, per portarlo a conoscere tutto di sé e del proprio lavoro e abituarlo a gestirsi.

Non chiedere un agonismo studiato solo per vincere la gara di oggi. Il talento ha bisogno di creare, uscire dagli schemi che conosce e tentare le soluzioni che gli detta l’ingegno. E deve essere soprattutto libero di provare anche quando non è ancora sicuro di riuscire, altrimenti si limita a imitare e a evitare l’errore, e quindi a non avventurarsi dove s’impara il nuovo.

Allenare il fisico e la tecnica, come sa fare bene, ma anche la mente, che ha regole del tutto diverse. La mente non ha bisogno di esercizi ripetuti fino alla noia o di false illusioni. Deve essere libera di provare, di andare oltre le cose conosciute e di poter sbagliare. Ed è delicata e imprevedibile, perché per stufarla e spingerla ad abbandonare basta sovraccaricarla d’impegni, ordini e obblighi che non capisce e rifiuta.

Chiedergli contributi, idee e partecipazione, coraggio per rischiare il nuovo, interesse per scoprire cosa c'è dietro un errore e correggerlo o trasformarlo in un colpo d'ingegno, oppure dietro una "magia" per farla diventare continuità. E allenarlo, quindi, a misurarsi certamente per vincere, ma anche a inventare e utilizzare ogni risorsa per andare a vedere fin dove può arrivare.

Lasciare che si sperimenti, perché senza questa libertà e con percorsi obbligati, imita e ripete, perde interesse o abbandona ma, soprattutto, non sviluppa il proprio talento. E, inoltre, ha bisogno di essere riconosciuto per ciò che sa fare e non biasimato perché non soddisfa richieste improponibili, altrimenti si ribella, oppure si adatta a farsi portare per mano ed essere protetto.

Non aspettare per correggerlo sperando che con il tempo si educhi da solo, perché il bambino acquisisce le cattive abitudini per imitazione, e quindi anche senza voler trasgredire né opporsi alle richieste dell’adulto, e quando diventa necessario porgli di limiti o proibire, interpreta la correzione come un’ingiustizia alla quale è lecito opporsi.

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