Pillole

Ragazzi che la domenica vanno ad arbitrare per piacere e non per soldi non possono essere picchiati senza che succeda nulla.

Trecento casi in meno di un anno e finalmente i vertici parlano di emergenza. Mondo del calcio, politica, e istituzioni arrivano a mettere la toppa: adesso basta, punizioni esemplari e chiusura ai violenti. Quante volte abbiamo sentito questi proclami e poi, dopo un paio di settimane, via come prima. Ho letto di una cultura da cambiare, ed era ora. Parlo da decine di anni di una cultura molto più evoluta, ma non ho mai sentito qualcuno che cercasse di capire e spiegasse che cosa vuol dire. C’è anche chi dice che capita soltanto nei tornei dilettanti e non negli stadi, ma lì ci sono forze dell’ordine in assetto da battaglia, mille messaggi inviati dal campo di gioco con entrate vigliacche, finzioni scoperte e scene di vittimismo anche ridicole, che è come dire “noi non ci possiamo ribellare, ma voi sì”. Complimenti, però, perché è intervenuto.

Piacerebbe sentire che cosa vuole dire “cultura”, perché nessuno si stupisce quando sente che si deve andare in campo con rabbia, cattiveria e bava alla bocca, che sono lo spegnimento della lucidità e del talento. Quando considera i bambini piccoli adulti soltanto da trattare con dosi ridotte o insegna a sostituire il talento con il trucco o un’aggressività scomposta.

È vero, il mondo è cattivo, i genitori sono una brutta razza, si dice, e un giovane, se impara trucchi e furbizie invece che a giocare, vince. Il pubblico, più spesso genitori, sono conviti di aiutare i figli, ma lo fanno male. Quelli che aggrediscono l’arbitro dopo la partita, invece, sono i castigati dalla vita che, sfavoriti nell’ingegno, si misurano con i muscoli, possibilmente in superiorità numerica. Lo fanno per un pubblico che il giorno dopo si tira fuori, ma lì, se la sua squadra ha perso, un po’ di tifo, magari silenzioso, lo fa. Negli stadi, invece, il pubblico che insulta, schernisce e gioisce per un’entrata assassina, è il dodicesimo uomo in campo, purché non usi gesti e parole tabù, tipo quelle che richiamano al razzismo. Allora, parte l’indignazione: individuato il colpevole, gli altri sono i veri tifosi che, non potendo fare di più, magari urlano solamente: “Devi morire!”.

Perdonare i violenti? Proprio no. Ognuno deve pagare per quello che fa ogni volta, non solo quando l’ha fatta grossa e ne parlano i giornali. Lo sport, invece, troppo speso passa sopra quando non c’è clamore, e così autorizza la mancanza di quella cultura che il presidente della Federcalcio vorrebbe portare nello sport.

E quando la notizia sarà sbiadita, qualche perdonista interessato accuserà di giustizialismo quelli che si sono indignati e minacciano sfracelli, e allora si affrettino a spiegare che si tratta di giustizia.

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