Quando i muscoli prevalgono sul cervello, il cinismo, la viltà e l’indifferenza verso chi non si può difendere prevalgono su un minimo di civiltà e cultura, qualcosa si deve fare. Ma come e da chi, se basta un paio di giorni di sdegno recitato per cestinare la notizia?
È difficile immaginare il bullo nello sport. Lo sport piace, si fonda su valori etici e dà momenti e gesti in cui ci si sente campioni. Per esempio, non ci dovrebbe essere in un’attività di gruppo come il calcio, perché si gioca insieme, si dipende gli uni dagli altri, cioè capirsi, ragionare, progettare e fare insieme. E neppure negli sport singoli, dove ognuno pensa alla propria misura e al più può provare un po’ d’invidia, ma non dovrebbe avere piacere a danneggiare l’altro. Di bullismo parlano un po’ tutti, ma neppure sul bullo si hanno sempre idee chiare.
È un eroe coraggioso? Con la vittima indifesa vive una forza e un potere che non possiede È prepotente, insensibile e cinico, ed è incapace di immedesimarsi nell’”altro”, di sentire e capire i disagi, la sofferenza e la disperazione di chi è chiuso in un angolo e non può difendersi né uscire. È impulsivo e incapace di frenare i comportamenti aggressivi, e deve soddisfare l’immagine del duro, che non può mostrare sentimenti come il garbo, la compassione o il rimorso. Dire a un genitore che suo figlio è sadico o malvagio, sembra una bestemmia, ma come definire chi gode a far soffrire gli altri, specie se indifesi?
È vile. Cerca il gruppo per esibirsi, ma anche per sentirsi protetto, evita di misurarsi alla pari con chi si può difendere, e sceglie le vittime tra i più fragili e indifesi. È influenzabile da modelli aggressivi e violenti dell’ambiente, come film, giochi o esempi che vengono da un clima culturale confuso e spesso insensibile, ma non basta. Si porta dietro qualcosa maturato già dall’infanzia, come essere stato lui stesso vittima di bulli, essere vissuto in un ambiente violento o addirittura brutale, avere subito rapporti ostili e privi d’intesa o essere stato sottoposto a violenze. Ritiene che il rapporto equivalga a potere sugli altri, ma chi lo cerca con il sopruso e l’arroganza sui più deboli tradisce una grande paura di essere dominato e una forte necessità di liberarsi di un doloroso complesso d’inferiorità o, almeno, di un disagio che lo domina.
Soffre una mancanza di autostima. Ha solo un infondato concetto di sé, perché la vera autostima viene da un confronto tra pari e non dipende dal giudizio degli altri, e perché, per emergere e sentirsi importante, ha bisogno di una vittima indifesa. Si esibisce perché ha bisogno del pubblico, ma i sudditi deboli che lo seguono per sentirsi anche loro forti non danno vera gloria. A volte dice di farlo solo “per noia”, senza provare sensi di colpa, ma la noia non si placa con una bravata, che dà un senso di nullità, come qualsiasi azione che abbia solo uno scopo distruttivo.
Qualcuno dice che sia un personaggio sicuro, ma non si può pensare di uno che s’impone perché è più forte, un vero uomo, come si dice o, come si vede a volte, una vera donna, anche se in questi casi non si sa che cosa voglia dire esserlo. Qual è la sua “forza”? È sentirsi diverso dalla norma del vivere comune, poter esibire cinismo, crudeltà e distacco morale senza provare sentimenti di colpa, non avere timore del giudizio o, in pratica, essere insensibile nei confronti delle emozioni.
Non è padrone di sé. Ricerche e la sola osservazione dicono che è fragile e cerca di superarne un disagio. Spesso viene da una famiglia disinteressata, lontana o priva di slancio affettivo, e magari è stato anche abusato. Si presenta freddo e controllato, ma non sa tenere a freno impulsi che derivano da umiliazioni subite e senso d’inadeguatezza. Molti hanno sofferto turbe e sofferenze, hanno una salute mentale incerta e, nel tempo, vanno incontro più spesso a depressione, ansia e idee di suicidio, o rischiano di sviluppare un disturbo antisociale della personalità.
Vive come in un videogioco, in una realtà virtuale e falsata nella quale l’”altro” non deve solo essere vinto ma annientato. Ha un deficit di empatia, originario o procurato dal tempo online in relazioni virtuali e mai messe alla prova, e non in rapporti reali, nei quali si sviluppa empatia, che è la capacità “sentire” e condividere lo stato d'animo degli altri e vivere le emozioni degli alti come fossero proprie. È il compito dei cosiddetti “neuroni specchio” essenziali anche nello sport, che si possono sviluppare o estinguere.
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