In una conduzione che impieghi le opinioni e i contributi di tutti, il leader è forse più utile nell’attività quotidiana che in gara, perché sollecita un clima di condivisione al quale tutti possono partecipare.
Ancora qualcosa sul leader
È il caso di sostenerlo perché sia più autorevole? Ciò che è valido va sempre sostenuto o, almeno, accettato, e, se utile, applicato, ma un vero leader non ha bisogno di sostegno per essere credibile. Anzi, se l’istruttore insiste troppo nel sostenerlo in ciò che dipende da lui, rischia addirittura di essere visto come incapace di portare avanti in prima persona le proprie idee. Se, invece, sostenerlo vuole dire portarlo per mano, gli dia tutto lo spazio, e non si trasformi in un suo gregario. Se il giovane ha la fiducia della squadra, è innegabile che il sostegno dell’istruttore gli dia più autorità e credito. Si può temere che qualcuno più disinvolto parli fin troppo e debba essere frenato, ma in questi casi si tratta di protagonismo, che difficilmente può essere utile ma, finché porta opinioni valide e non “ruba” la parola agli altri si può ancora accettare.
Non basta, però, sostenerne uno solo. Per evitare malcontenti e non perdere i contributi di chi non è mai chiamato in causa, aiuti anche quelli che non sono leader. Li incoraggi valorizzandoli e chiamandoli a contribuire con le proprie idee. E, come sempre, eviti di farlo solo con le parole, perché il sostegno affinché ognuno dia sempre il possibile e sia leader per quanto può, è la chiamata a partecipare e l'attuazione di ogni idea valida. O anche soltanto l’apprezzamento di ciò che è segno d’iniziativa e partecipazione, anche se non è subito efficace sul piano pratico.
Chi è primo e migliore è automaticamente un leader? E corre rischi? Se un allievo è davvero il migliore, non corre rischi particolari, purché lo sia per le proprie reali capacità, non abbia l'obbligo di esserlo e si senta all'altezza delle richieste e delle situazioni. Nel tranello di sbagliare le misure cade prima il genitore, quando pensa che il figlio debba essere il primo, anche se non ne ha le doti o anche solo la sicurezza. E poi l’istruttore, quando crede di stimolarlo con giudizi non veritieri o prospettive sproporzionate. Entrambi considerino che diventa campione chi ne ha le possibilità, e il loro compito è evitare errori mentre, per gli altri, una simile manipolazione si trasforma in un fattore di scoraggiamento. Chi la subisce sente di non essere apprezzato per quello che gli è possibile e di essere chiamato a dare conferme di cui non è all'altezza. Essere il primo o il migliore comporta anche obblighi che, però, è meglio considerare opportunità favorevoli. Nello sport, per esempio, è leader chi sa cooperare e mettersi alla pari, intende l’essere primo come un'occasione per valorizzarsi attraverso i propri contributi, e non come una posizione da difendere.
E se c’è più di un leader nella squadra? Se sono tanti ad avere la stoffa di leader, vanno utilizzati tutti per ciò che possono dare, e senza timori, perché il leader non cerca gloria per sé. È un soggetto sempre costruttivo che si propone a vantaggio di tutti, offre contributi e, allo stesso tempo, è disponibile ad adattarsi agli altri. È facile, quindi, immaginare che, per farne coesistere più di uno, sia sufficiente che ci siano cooperazione e spazio per le idee e i contributi di tutti. Quando, cioè, l'iniziativa di ognuno si somma per realizzare un insieme più funzionale alle esigenze comuni, è automatico che si tiri tutti dalla stessa parte e che ognuno tragga vantaggio dall'iniziativa degli altri.
Leader non devono, però, essere i più inquieti e meno dominabili, dei quali si dice che “hanno carattere", o insicuri che cercano di essere più disinvolti per darsi coraggio.
Vincenzo Prunelli
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