Un tempo, i figli accettavano una posizione subordinata e condiscendente almeno fino all’adolescenza, ma tanti oggi trovano facilmente le contromisure o si ribellano.
I tempi sono cambiati
In tutti gli altri momenti ci sono genitori che preferiscono delegare l’educazione dei figli ad altri mentre, nello sport, li dirigono a bacchetta o studiano i condizionamenti più mascherati per pilotarli senza che se ne accorgano. Dicono come fare o non fare, li correggono e danno ordini secchi e precisi perché sanno tutto. Sembra che i figli, fino ad un certo punto, diano retta, ma è solo perché lo sport piace e in campo ci vanno loro, mentre i genitori stanno fuori. Oggi, però, nello sport è difficile vedere il genitore che comanda come un despota. O, se lo fa, il figlio lo disarma facilmente, prima magari con un cattivo rendimento e, più tardi, la resistenza passiva o la ribellione, per cui è più facile vedere che continua a fare il genitore in modo che il figlio continui a fare solo il figlio.
In pratica, l'autoritario vecchia maniera non c’è più o, se gioca a farlo, comanda ma non ottiene. C’è piuttosto il genitore convinto di sapere tutto e di poterlo trasmettere al figlio, ma lo fa spesso perché continui a essere un puro recettore ed esecutore che non pensa, e non gli fa imparare l'unica cosa importante, che è decidere e fare da solo. Gli offre soluzioni e realtà ottimali, già definite, nelle quali non servono la sua creatività e il suo contributo. Non gli interessano i suoi desideri, gli stimoli che lo motivano e perfino le sue risorse perché, in realtà, lo vorrebbe come non è riuscito a essere lui.
Un genitore, senza rendersene conto, può essere coercitivo anche in altre maniere. Quando usa modi e rapporti alla pari solo in apparenza per rendere più convincenti le richieste e imporre solo risposte obbligate. Quando la sua idea è perfetta ed esauriente, toglie i dubbi e dà le soluzioni, finché diventa anche l'unica, e così continua a trattarlo da bambino che non pensa ma ripete, per farlo diventare adulto. Qualche esempio. È quando si aspetta soltanto comportamenti e azioni responsabili, ma non gli concede la libertà di provare, arrangiarsi da solo, sbagliare senza essere giudicato, e non pretende che rimedi agli errori, che sono le condizioni per diventare responsabili. O quando lo vuole incoraggiare con premi non dovuti o falsi attestati di stima, oppure gioca a fare l'amico, in modo che non si opponga e non possa deludere.
Come va a finire? Non impressioniamoci troppo perché, se davvero li vogliamo aiutare e non opprimere, i figli se ne rendono conto, anche se siamo un po' maldestri. Ricordiamo, però, che tanti giovani si perdono o, meglio, “non si trovano”, per errori in buona fede. Ci dobbiamo, quindi, aspettare qualche sorpresa, perché i ragazzi imparano presto a far andare a vuoto le pressioni che non tengono conto che anche loro hanno idee e desideri.
C’è, però, di più. Imparano ancor più rapidamente a vedere i punti deboli di questi tipo di genitore. Per poterlo combattere, c'è quello che lo fa sfidandolo apertamente, ma anche quello che usa armi molto più sottili. Ad esempio, mette in moto tutti gli stratagemmi per eludere le sue pretese, e quest’affermazione ci ricorda che, se è sempre illogico chiedere troppo, diventa pericoloso imporlo. Un figlio che voglia punire un genitore ha troppe opportunità, dal deluderlo fino a fare delle scelte pericolose. Oppure, può continuare a chiedere, ad affidarsi e ad avere sempre bisogno di qualcuno che pensi e decida per lui. E allora, davvero dobbiamo chiedere a questo genitore se comanda lui che sa e può, o è il figlio che lo obbliga a continuare a proteggerlo. L'ipotesi più probabile, però, è che impari a imitarlo, magari in un modo sempre più raffinato perché, qualsiasi cosa faccia, gli trasmette prima di tutto i suoi modi e comportamenti.
Vincenzo Prunelli
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