Pillole

Un giovane si sente stimolato dalla prospettiva del successo? Lo desiderano tutti, ma occorre fare alcune considerazioni, tutte essenziali, che riguardano la vittoria in ogni gara o il successo come obiettivo della carriera, il momento dello sviluppo e la dotazione.

Della vittoria come unico obiettivo di ogni gara si è già detto in molti articoli. La sintesi è che, per un giovane, una partita giocata solo per vincere con qualsiasi espediente, o scorrettezza è sempre una partita persa. Si usa ciò che è utile ora, ma intanto non si tenta il nuovo, che subito può non riuscire, ma è il modo di esprimersi della creatività, che così è soffocata e si può trasformare in una valenza negativa. Si gioca con la paura di perdere, che fa stare attenti a non sbagliare, ma a spese dell’iniziativa libera e della lucidità.

E, intanto, si soffoca il talento, che subito può essere meno efficace di una scorrettezza o di una furbata, ma è l’unico strumento per arrivare allo sport che conta.

Qualcuno dice: ”E allora è meglio giocare per perdere?”. Affatto, ma è spiegato meglio altrove: se abituiamo i giovani a prevalere con il gioco, a rischiare l’errore “ragionato” per cercare il gesto tecnico migliore, lo portiamo nella zona-talento, dove lo stimolo è il piacere per ciò che si sa fare e ciò che si riesce a fare sempre meglio, e non la certezza di non essere all’altezza di ciò che viene chiesto.

Il rispetto del momento dello sviluppo è altrettanto fondamentale, perché il bambino vive qui e ora e non possiede il pensiero astratto. È stimolato da ciò che vede, sente e prova adesso, e quindi non sa fare qualcosa che non lo diverte ora per impegnarsi in un lavoro che gli darà risultati e vantaggi in futuro. Lo stimolo, quindi, è il gioco libero all’interno di poche regole, che consente di chiamare in causa le qualità del talento.

E poi, la condizione indispensabile, la dotazione, senza la quale non si può parlare di sport. Che un allenatore ci caschi è più difficile, ma teniamo conto che l’affetto o una larghezza di giudizio verso i migliori possono anche far sbagliare le misure.

Il vero problema sono i genitori, che generano soltanto fuoriclasse, e “sanno che cosa è meglio fare” per i propri figli.

Possiamo vedere due modi per essere oppressivi nei confronti di giovani che fanno sport. La vittoria ottenuta in qualsiasi modo in ogni partita, cioè il successo di oggi, ha effetti più evidenti sullo sviluppo. Grava l’allievo di attese troppo angosciose che gli impediscono di correre rischi tentando il nuovo e, nella partita, sostituiscono rapidamente il piacere di prevalere con l’abilità con la paura di perdere. Toglie valore all’apprendimento e a tutto ciò che è solo preparazione della gara, perché è un controsenso costruire il gesto tecnico più efficace utilizzando le qualità migliori del proprio talento quando poi, in partita, è richiesta e diventa più utile la scappatoia.

Il secondo è il successo come realizzazione del sogno della vita e fine ultimo dello sport. Ricordiamo che, prendendo ad esempio il calcio, oggi al successo, o anche solo a “vivere di sport” arriva uno su quarantamila che hanno iniziato e, quindi, parlare di successo è una manipolazione o, meglio, un inganno che procura molti danni.

Per esempio, il giovane lo può sentire tanto lontano nel tempo e dai suoi mezzi ancora in formazione da ritenerlo inarrivabile, e non crederci più anche quando sarebbe possibile. Teniamo conto delle motivazioni, che hanno effetto sul presente e riescono a modificarlo, e per questo hanno bisogno di continue verifiche positive, in pratica di sentire di avvicinarsi all’obiettivo attraverso il miglioramento della propria efficacia.

Il peggio è quando ci crede, e allora può trasformare lo sport in una rincorsa sempre angosciosa e segnata dalla paura di fallire. Un giovane illuso di essere un campione, infatti, comprende abbastanza in fretta di non averne i mezzi, e allora è molto probabile che si abbatta e non riesca più a raggiungere neppure gli obiettivi possibili. Oppure, può trascurare tutti gli altri campi, illudersi di possedere qualità inesistenti o di non avere più nulla da imparare, e alla fine rendersi conto di essere rimasto indietro ed essere troppo insicuro e impreparato per mettersi alla pari con i coetanei.

Qualcuno riesce, ma in tutta questa confusione, è facile non lasciar completare tutti gli stadi dell’evoluzione, e quindi formare lo sportivo incostante, capriccioso, difficile da governare e non sempre presente alle richieste dello sport.

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