Le motivazioni sono stimoli più efficaci di ordini, minacce e punizioni, perché sono impulsi naturali, la realizzazione di un desiderio o, anche, di una necessità, perché soddisfano il bisogno di procedere verso la vita adulta. Non stimolano reattività, perché lasciarle esprimere è considerazione verso il giovane e riconoscimento della capacità di essere costruttivo e responsabile. Non tutti gli adulti cadono in questi equivoci e tanti giovani percorrono un’infanzia che si potrebbe dire “fisiologica”, ma ci si deve interessare dei casi in cui non avviene nulla, ma qualcosa si può fare.
Per non sprecare le motivazioni
Che cosa vuole il giovane negli anni in cui forma lo stile di vita e il carattere? Desidera raggiungere i traguardi adatti alle proprie possibilità, mentre le richieste eccessive, evidenti già nella sopravvalutazione che si usa per stimolare l’ambizione, nel considerarlo tra i migliori a scuola e parlargli soltanto di grandi successi. Sembra lo stimolo più efficace, ma un giovane ha bisogno di superare sentimenti d’inferiorità e inadeguatezza che lo separano dall’adulto. È possibile che ci creda, e allora vediamo bambini, e poi adulti, che hanno imparato a vivere di desideri esauditi da altri. Aspettano che qualcosa avvenga, non si preparano a fare da soli e vedono l’adulto come servitore e non come guida. È, però, più facile che non ci creda, e allora vediamo il bambino sospeso tra il non capire e il ritenersi incapace, fino poi a perdere fiducia nell’adulto.
Le motivazioni del bambino sono il bisogno di scoprire e sperimentare le proprie forze, e allora gli si deve chiedere di fare soltanto cose possibili o comprensibili. Pretendere l’impossibile vuole essere uno stimolo per superare i limiti del momento, ma per molti s’intendono quelli che sono naturali e immutabili. Consideriamo che chiedere cento a chi può soltanto dare ottanta, crea una zona buia, un’insicurezza che impedisce di arrivare dove sarebbe possibile e che, per imparare, è indispensabile la certezza di esserne capaci. In pratica, ognuno ha bisogno di percorrere la propria età da protagonista attivo che non si sente mai escluso o inadeguato, e non di essere sbalzato in avanti per farlo arrivare primo.
Liberare le proprie spinte creative ed evolutive. È scoprire che cosa c’è dietro ciò che si può vedere, provare che cosa detta la fantasia al momento, riuscire a fare ciò che è possibile a un altro e, in ogni caso, essere sempre curiosi di vedere, in qualcosa che sta avvenendo, un’esperienza già vissuta, oppure una possibilità da verificare o realizzare. Ricordo, per esempio, un giorno senza sole e con vento gelido a fine novembre. Su un campetto, una fila di bambini fermi ad aspettare che gli altri, uno per volta, eseguissero un esercizio spiegato con disegni alla mano e, su un altro, bambini che giocavano, urlavano e si divertivano. Inutile dire quali erano trattati da bambini ai quali si permette di misurarsi per verificare le proprie forze e quali da falsi adulti.
Ottenere stima e apprezzamento dall'adulto e da chi lo guida. Nessuno fa l’istruttore di sport per maltrattare i bambini, ma neppure oggi, quando il mondo fa vedere che trattarli da futuri protagonisti e capaci di amministrarsi da soli li porta a essere autonomi e responsabili basta per formare adulti consapevoli, riesce a smuovere sistemi ormai superati. Tanti, infatti, immaginano ancora che, piantare con forza nella testa di bambini e giovani princìpi ormai rifiutati anche dagli adulti, serva a formare persone responsabili e, ma come pensare che trattarli con arroganza e distacco oggi serva a renderli autonomi e in grado di amministrarsi da soli domani?
Verificare i cambiamenti, la crescente padronanza dei propri gesti, la verifica dei progressi, la scoperta e l’affinamento di abilità e superare l’insicurezza verso ciò che è sconosciuto e non si sa dominare. Un giovane ha bisogno di sentirsi adeguato verso ciò che è richiesto, fare oggi meglio di ieri e trovare la sicurezza per fare qualcosa di nuovo anche domani. Può soltanto farlo lui, perché dargli sempre soluzioni già pronte lo tiene fermo e incapace a fare da solo.
Il piacere per ciò che sta facendo. Anche nello sport, le cose da fare che non piacciono sono tante, e allora non resta che renderle gradevoli. Il come sembra difficile, ma non è così, perché ciò che interessa può addirittura piacere più di ciò che diverte. Per esempio, quando fa una cosa come gli adulti, un bambino si diverte, si sente importante e partecipe, riesce a vedere i risultati delle proprie iniziative o vede realizzarsi qualcosa che ha pensato. Allo stesso modo a un giovane, per esempio nel calcio, invece di chiedere dieci giri di corsa, si fa correre la stessa distanza scambiandosi un pallone. Oppure, sentire che in ciò che si sta facendo c’è il proprio contributo, cattura l’interesse e l’attenzione mentre, eseguire un comando, fa pensare alla fatica e sperare di smettere presto.
La consapevolezza di poter affrontare situazioni sconosciute o di accedere da soli a nuove conoscenze, che in pratica è l’autonomia, consente di creare senza dover seguire schemi rigidi, e non essere sottoposti a richieste impossibili o incomprensibili, porta a fare bene qualsiasi cosa s’intraprenda.
Vincenzo Prunelli
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