Viene dagli USA, dove fu inventato nel 1891 dal pastore luterano J. Naismith, preoccupato per la violenza di alcuni sport che attraevano allora i giovani, per esempio il football, e insieme per la scarsa presa psicologica dei corsi di educazione fisica tenuti nei college.

Lei dice che il calcio educa, ma com’è possibile che correre dietro a un pallone possa fare ciò che tante volte non è possibile alla famiglia e alla scuola? E che cosa rimarrà dopo?

Un giocatore con un forte carattere durante tutta la partita infastidisce e insulta i compagni, però non ne posso fare a meno. Come mi comporto?

Anche qui il "forte carattere" non c'entra. Siamo solo di fronte ad un soggetto che ha una forte attitudine a fare capricci, a pretendere di essere venerato perché si sente più forte degli altri e a non mettersi al servizio del collettivo. In questi casi, salvo che ci troviamo di fronte ad un soggetto con disturbi incontrollabili del carattere, può darsi che anche noi abbiamo qualche colpa, che non abbiamo saputo creare un clima più responsabile e che non abbiamo stimolato lo scambio e la collaborazione.

A questo tipo di giocatore dobbiamo affidare più responsabilità e possibilità di essere importante in campo, ma soprattutto fuori, dove si forma il collettivo, in modo che non abbia bisogno di essere aggressivo verso gli altri per sentire che conta.

Ma se dopo che abbiamo fatto il possibile per recuperarlo continua a non volerne sapere e a non fare nulla per cambiare, è meglio lasciarlo fuori finché avrà capito cosa pretendiamo da lui. Cerchiamo di non farci prendere dalla paura che si offenda e che tiri i remi in barca o che se ne vada. Anche lui ci tiene a giocare, perché in squadra è importante; in ogni caso, dobbiamo essere pronti anche a farne a meno, perché un giocatore fuori del collettivo, che condiziona tutti gli altri, non è mai indispensabile.

 

Come comportarsi con un ragazzo che, anche se non in modo clamoroso, provoca in continuazione perché si ritiene migliore degli altri?

Forse questo ragazzo

  • è abituato a sentirsi sopra di tutti;
  • si attribuisce una considerazione che non ha ancora meritato;
  • si vuole misurare con questi sistemi non costruttivi perché crede sia l'unico modo per emergere;
  • cerca apprezzamento e si ribella perché non riesce a ottenerlo;
  • si comporta come fa fuori dello sport.

Può anche avere disturbi del carattere di cui non ha colpa, ma non gli possiamo permettere di continuare su questo tono, perché è dannoso per tutti, e gli altri non devono essere costretti a subire.

Qualcuno di questi "difetti", come il voler far valere le proprie opinioni, cercare posizioni e ruoli appaganti o pretendere di collocarsi alla pari o magari sopra degli altri, è fisiologico e necessario per conoscere le proprie giuste misure.

In questi casi dobbiamo solo trovare gli opportuni sbocchi perché il ragazzo si possa esprimere in modo costruttivo: gli dobbiamo offrire l'opportunità di valorizzare le proprie idee e di sentirsi importante per i contributi che sa portare, e dargli responsabilità dalle quali possa capire che lo apprezziamo e lo riteniamo all'altezza.

Ma dobbiamo pretendere sempre che stia nelle giuste misure, perché l'autorità è nostra. Chi non collabora o sceglie di trasgredire nonostante la nostra disponibilità non deve trarre vantaggi dai comportamenti negativi e, anzi, deve andare incontro a tutte le conseguenze che questi comportano.

 

Un giocatore è arrogante fino a mandarmi a "quel paese". È anche colpa mia e come frenarlo?

Agisce così perché se lo può permettere. Dobbiamo quindi chiederci in cosa abbiamo sbagliato per arrivare a farci mancare di rispetto. Di sicuro abbiamo fatto degli errori e ci siamo messi in una posizione di debolezza:

  • ci siamo presentati come sergenti di ferro (che è la posizione più debole per un allenatore) e pian piano siamo scesi a compromessi;
  • ci siamo mostrati sempre meno di ferro e alla fine abbiamo ceduto, dopo aver lanciato la sfida e preteso di vincerla;
  • ci siamo mostrati deboli perché è un giocatore importante, e gli abbiamo permesso di stare fuori delle regole fino a dargli un potere che non sa gestire;
  • gli abbiamo accordato privilegi o giudizi interessati per avere in cambio più impegno o, spesso, per disarmarlo perché è poco dominabile;
  • abbiamo fatto finta che la sua arroganza sia carattere, fino a lasciargli credere di poterla esprimere anche contro di noi;
  • abbiamo messo quelli che erano dalla nostra parte contro altri che stavano prendendo piede e così abbiamo lasciato prendere piede a tutti;
  • abbiamo ceduto a pressioni interne o esterne, e abbiamo fatto vedere che basta alzare la voce per avere ragione;
  • abbiamo commesso piccole o grandi ingiustizie in nome della governabilità o di qualche convinzione solo nostra;
  • abbiamo preteso d'essere infallibili, inflessibili, grandi padri o personaggi troppo al di sopra, e alla fine abbiamo mostrato che anche noi facciamo quello che possiamo.

Insomma, ci possono mandare a quel paese tutte le volte che abbiamo perso autorità e stima. La soluzione è riconquistarle con tutti i mezzi a disposizione, anche i più duri, mentre il semplice "prendere provvedimenti" con qualche punizione non cambia nulla e, anzi, più spesso peggiora le cose.

 

Un giocatore è arrogante e negativo con tutti. Gli faccio notare che è dannoso per sé e per la squadra e lui mi risponde "lo so, ma non cambio". "Ho sempre fatto così e mi sta bene". Che fare ma, più importante, perché una risposta del genere?

Credo che questo giocatore non debba avere per forza dei disturbi del carattere, ma che pensi solo di poterselo permettere. Viviamo, infatti, un'epoca in cui manca spesso una figura adulta autorevole che abitui a tenere conto anche delle esigenze e della presenza degli altri, e chieda ai giovani di fare la propria parte per essere costruttivi.

Nel nostro caso, prendiamo pure atto che questo giocatore non ha tutte le colpe nel credere che per lui tutto sia lecito, ma riconosciamoci il diritto di pretendere e, se è il caso, di imporre che siano rispettate le nostre regole. Diamogli l'opportunità di essere costruttivo richiedendo il suo contributo nelle varie attività, e così vedremo se metterà finalmente la sua iniziativa, finora provocatoria e disordinata, al servizio della squadra. E se neppure così bastasse? Se lo prendiamo di punta facciamo il suo gioco, perché gli piace considerarsi "dominato dagli istinti" e metterci alle corde dicendo che per lui va bene così, ma non lo possiamo lasciar fare. Se è stabilito che chi è troppo nervoso sia sostituito per salvarlo da un'espulsione, dobbiamo toglierlo. Se rifiuta un ordine o lo contesta, dobbiamo metterlo da parte finché non se la sentirà di fare come gli altri. Se manca di rispetto verso di noi o i compagni, dobbiamo metterlo in condizioni di doversi adeguare.

Cerchiamo quindi di mettere in atto tutto quello che ci viene in mente affinché si renda conto che ci sono percorsi dai quali si può passare sempre e altri sempre chiusi, senza che questo ci scomponga. E se lo perdiamo? Se lo lasciamo fare lo abbiamo già perso e ne perdiamo altri.

 

Come comportarsi nei confronti di allievi più disinvolti o magari anche sfacciati?

Un individuo un po' sfacciato, invadente, capopopolo e alla ricerca dei primi piani piace, perché è creativo e inquieto, ma se disturba o spreca risorse solo per rassicurarsi di contare e di avere séguito dobbiamo intervenire per farlo cambiare. Chiediamogli di più in campo e offriamogli condizioni e opportunità perché si possa valorizzare attraverso quello che riesce a fare.

Se ha ingegno e creatività, facciamoglieli esprimere anche fuori: nella critica costruttiva, nella ricerca di soluzioni, nelle proposte e nella libertà di prendere iniziative e di poter anche sbagliare. È un rischio? Provate e vedrete che il ragazzo sarà sempre più sicuro e padrone delle situazioni, non ci darà problemi e, anzi, creerà sempre di più e sbaglierà di meno. Sarà dalla nostra parte e saprà cosa fare, e soprattutto non avrà più bisogno di essere sfacciato per sentire che conta.

A volte, però, lo sfacciato va fermato, altrimenti mette in crisi la nostra autorità, e allora non dobbiamo aver paura di intervenire e di togliergli qualsiasi spazio. Se non ci crea difficoltà nel lavoro, ma è poco probabile perché uno che sa cooperare non ha questi atteggiamenti, gli chiariamo quali sono i margini dentro i quali deve stare, senza blandirlo, rispondere sul suo stesso tono per far vedere che possiamo essere più arroganti o che stiamo allo scherzo. Ma se è negativo per la squadra e insiste, mettiamolo fuori subito chiarendogliene i motivi. Starà a lui rientrare.

Ma per le prossime volte, facciamo attenzione a non perdere autorità, perché questi casi nascono sempre da qualche nostro atteggiamento sbagliato. Cerchiamo quindi:

  • di non fare gli amiconi e di non dare troppa confidenza;
  • se c'è qualcosa che non va, di parlarne e di decidere sul momento;
  • di non rispondere a tono se qualcuno fa troppo lo spiritoso ed esce dalle righe, ma di fermarlo subito;
  • di andare decisi, e non cercare di conquistarci quelli che sembrano avere più personalità per sentirci accettati o averli dalla nostra parte;
  • di non presentarci con inutili esibizionismi, perché quando ci avranno preso le misure, avremo perso rispetto;
  • di farci sentire vicini fin dove serve per dare sicurezza, ma non tanto da lasciar occupare spazi che sono solo nostri o farci mettere in discussione

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