È da sempre che nello sport si sente dire: “È andato sopra i propri mezzi”. Poiché è una legge della natura non poter dare più di ciò che si ha, forse sarebbe più opportuno dire: “Finalmente è riuscito a dare tutto quello che ha”, che non è ancora giusto perché, chi ci mette qualcosa di proprio ogni giorno, potrà dare ancora di più. Perché non si esce da questo equivoco, come definire il massimo rendimento e come raggiungerlo?
A PROPOSITO DI RENDIMENTO
Ci sono convinzioni dure a morire e, di volta in volta, se ne attribuiscono i meriti alla carica o a certi riti che sanno di superstizione, al ripasso prima di entrare in campo, all’adrenalina o al furore agonistico, come diceva un allenatore, che per aumentare l’aggressività sarebbero servite iniezioni di anabolizzanti.
Per esempio, si continua a far ripetere ciò che si sa da sempre, ad accanirsi per correggere l’errore invece di lasciar trovare la soluzione giusta, e non si manda avanti l’allievo a scoprire il proprio talento e imparare a trovare da solo le percorsi e le soluzioni che si adattano ai suoi mezzi. La formazione è un tempo in cui si deve imparare ciò che non si conosce ancora, e non soltanto ripetere ciò che si sa o inventare marchingegni per vincere oggi, ma per imparare a farlo quando la vittoria sarà il vero obiettivo dello sport.
Si creano inutili tensioni per stimolare più impegno, ma c’è un limite oltre il quale l’attivazione cala rapidamente e diventa un freno al rendimento. Inoltre, quando un allievo ha bisogno di un intervento esterno per sentirsi pronto e giocare a un livello facilmente raggiungibile, si rende anche conto di non poterlo fare da solo, che è sempre un’ammissione d’incapacità. Eppure, si sa che perché nella gara più bella si era sereni, lucidi, concentrati, sicuri e liberi dalla paura di sbagliare o di perdere.
Per arrivare al rendimento medio, uno sportivo non ha bisogno d’interventi esterni, perché lo sa fare senza bisogno di aiuti. Serve farlo andare oltre, dove lavora l’ingegno, che è qualità del tutto personale, e dove ci può arrivare soltanto da solo. In pratica, per riuscire nello sport serve il talento, ma se non si aiutano gli sportivi a imparare a usarlo, e quindi senza l’intervento dell’ingegno, è poca cosa.
Il talento non è solamente l’abilità nel far muovere meglio le braccia e le gambe, ma anche la capacità della mente di usarla. Fanno parte del talento, quindi, anche la capacità e il coraggio di provare il nuovo, la creatività, l’originalità e la fantasia e il desiderio di andare a vedere che cosa si può ancora fare e la determinazione, che non sono fatica o sacrificio ma piacere di scoprire per essere sempre più padroni del proprio talento. E queste qualità non hanno tanto bisogno di essere allenate quanto di essere lasciate libere di esprimersi, perché soddisfano le motivazioni più prementi di ognuno.
Si parla di avere raggiunto il 110% in certe gare in cui si sono raggiunti alti livelli di gioco, o sarebbe meglio dire “di risultato”, che è pur sempre il metro di giudizio usato più della qualità della prestazione. Non è possibile in assoluto, mentre ha una logica se si riferisce al rendimento medio o, anche, a quello in cui si sono verificate tutte le condizioni per disputare una gara al massimo. Sarebbe, quindi, meglio dire che la prestazione massima è quella possibile, mentre a quella che sta sotto manca sempre qualcosa che si potrebbe fare.
Si può dire che è stato fatto tutto il possibile, sconfinando anche qualche volta nell’illecito, e allora occorrerebbe allargare il campo a qualcosa che non si è ancora provato. Finora, si continua quasi ovunque a formare il giocatore che ubbidisce, esegue, ripete, deve avere paura ed essere furioso nelle gare importanti e sta attento a mettere qualcosa di suo e mai provato, perché la prima accortezza è non commettere errori.
In breve, che cosa può fare l’istruttore per andare oltre? Innanzitutto, non deve creare inutili tensioni, e chiamare gli allievi a prtecipare attivamente a ogni fase dell’attività. Crei ogni giorno qualche situazione nuova e quesiti concreti da risolvere da soli, e poi applichi anche le loro soluzioni, in modo che sentano di contare per ciò che sanno produrre. Stimoli dubbi e curiosità, perché avvertano il piacere di andare oltre fin dove è possibile. Non dia mai nulla di accertato e definito, perché l’ingegno e il desiderio di sapere e di conoscere riescono sempre ad aggiungere qualcosa. Lasci, quindi, che provino a esercitare creatività, fantasia e iniziativa libera, perché cosi esercitano l’ingegno e scoprono il loro talento.
La conclusione: dove lavorano il talento e l’ingegno dell’allenatore? Nella zona che sta tra il rendimento medio, facile da raggiungere, e la prestazione massima, perché è qui che si esprimono le vere capacità della sua dotazione.
Vincenzo Prunelli
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