Sport

Siccome eravamo rimasti sul proporre delle domande, stando sul filone del talento, in nome di un anonimo amico pone due domande. La prima è: "Dove e come si può spostare il focus di un ragazzo che subisce troppe pressioni dai genitori"? Oppure: “Quale leva usare per portare l'attenzione verso il puro gesto e il divertimento, dimenticandosi di quello che sarà il dopo partita”? (Andrea Manetta Biella).

Il focus è il punto sul quale si dirigono l’interesse, l’attenzione e l’attività. Preferisco individuarne uno solo, perché la persona non può essere interpretata come una somma d’interessi che, secondo l’importanza, di volta in volta possono catturare di più l’attenzione.

Qual è il focus di un giovane nello sport? Di solito, è l’interesse che gli stimola quello in cui riesce meglio per le abilità e i risultati che, nel bambino, soddisfa il maggior numero di motivazioni che, nei primi tempi, sono il piacere e il divertimento che dà il gioco, l’apprezzamento dell’adulto, e la possibilità di sentirsi sempre meno lontano da lui.

Compaiono, poi, quelle secondarie, più legate all’età e all’ambiente, che nel giovane, sono il desiderio di raggiungere i traguardi che sogna, la possibilità di verificare e sperimentare i propri limiti e la partecipazione alle scelte che lo riguardano; sentirsi riconosciuto per le capacità e per come affronta la realtà, contare per le proprie idee e azioni, avere spazi per creare, imparare dalle proprie iniziative e decidere da solo, porsi degli obiettivi e cooperare con proposte personali.

Mantenere attivo un focus e impiegare i vantaggi che può dare, richiede una preparazione dell’istruttore e di tutto l’ambiente, ma bisogna anche tenere conto del livello al quale si opera. Il bambino ha soltanto bisogno di sentirsi libero fare ciò che gli detta la fantasia. Il giovane che pratica lo sport soltanto per puro piacere, invece, non ha bisogno di tante precauzioni per mantenerlo attivo. Si diverte semplicemente perché gioca, compie qualche gesto che lo fa sentire campione ed è consapevole di non potere andare oltre. Il talento vero, invece, cerca di raggiungere gli obiettivi più appaganti, lo sente come una grande motivazione da sviluppare e non accetta di avere dei limiti. Per lui, il focus è una luminosità totale e lo stimolo indispensabile per scoprire tutte le proprie qualità mentre, se è soltanto un fuocherello che si può ravvivare con qualche intervento quando ve ne sia il bisogno, non gli basta perché non può fare cose che sono possibili soltanto a lui. Si può anche divertire perché gioca, ma non arriverà mai di esprimere le proprie qualità per andare oltre ciò è possibile agli altri.

A questo punto, si può dire che nello sport per tutti serve l’istruttore che ha una buona esperienza personale, sa mostrare ciò che insegna e si può accontentare di una buona esecuzione mentre, dove si lavora per formare il campione, occorre una preparazione diversa che usi metodi specifici e s’interessi anche della mente.

Caro Andrea, credo che la risposta deluda te il tuo amico perché manca una soluzione, ma non si può creare un focus diverso ed efficace quando ci sono ostacoli che bloccano quello vero. L’unica possibilità è un cambiamento e, nei casi ai quali vi riferite, di metodo dei genitori, quando, però, è ancora possibile.

Alla seconda, che chiede: "Capita spesso di incrociare un talento sregolato, un ragazzo difficile che non ha un supporto alle spalle e avrebbe tante qualità, come aiutarlo nella crescita attraverso lo sport?", mi è impossibile rispondere, perché si tratta di un metodo che coinvolge genitori, ambiente, società sportiva, istruttore e tutta la descrizione dello sport. Ti consiglio di consultare il sito nuovosportgiovani e il libro “Famiglia, scuola e sport”, dove si parla molto di cosa fare o evitare, e poi di rifarti sentire .

Considera, però, che, spesso, è molto più utile non avere supporti piuttosto che averli esagerati e opprimenti, e che lo sport può avere tutte le possibilità di far crescere un talento, ma bisogna avere una formazione adeguata o, almeno, informarsi, e non credere di avere imparato tutto per aver giocato da giovani.

 

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