Domenica 8 settembre il comune di Neive, La Regione Piemonte e il Panathlon Area tre hanno organizzato un torneo di calcio per Giovanissimi con la partecipazione di Neive, Torino, Inter, Cuneo e Novara.
Si voleva dimostrare che i giovani sanno giocare “pulito” anche senza un arbitro che punisce le condotte violente.
Non il solito torneo, quindi. Le partite si sono giocate senza arbitro, i giocatori dovevano “confessare” il fallo alzando un braccio, una giuria stabiliva una penalità per gli interventi non proprio da fair play e la graduatoria era stilata tenendo conto della correttezza in campo.
È un piacere vedere che lo sport e le istituzioni incominciano pensare qualcosa di nuovo, ma ora l’importante è continuare. Per una volta si può fare una recita, “essere tutti buoni”, ma se tutto si ferma lì, è solo stata una bella giornata nella terra del Barbaresco. Un torneo estemporaneo non cambia nulla, perché abitudini assunte nelle prime età dello sport non si cancellano in un giorno.
È vero che i più piccolini hanno recitato abbastanza bene la parte e i più grandicelli hanno solo messo in campo qualche malizia quasi innocente, ma piacerebbe vedere lo stesso comportamento in una partita di campionato, davanti a certi genitori assatanati e allenatori che puntano il dito e predicano rabbia, cattiveria, adrenalina o simili. Nonostante l’inerzia al cambiamento dei modelli di comportamento, però, non perdiamoci d’animo, perché i giovani sono più severi e obiettivi degli adulti. Basta abituarli.
Qualcuno dirà che i cattivi che vincono sono preferibili ai buoni che perdono, ma qui si può fare una prima considerazione. Un agonismo “pulito” fa vincere prima e meglio, perché non significa tirare indietro la gamba, ma avere sicurezza e decisione di fronte alle situazioni, prontezza, autocontrollo, iniziativa, usare al meglio tutte le proprie risorse e non disperdersi in intenzioni estranee al gioco.
Che cosa capire dello sport dei giovani perché a Neive non sia stata solo una bella gita? Gli argomenti non si possono trattare in queste osservazioni, e allora facciamone solo un piccolo elenco disordinato, lasciando a chi è interessato l’approfondimento su sito.
A ogni età s’impara, e quindi si deve insegnare, in modo diverso.
Una partita giocata solo per vincere o per non perdere, e non anche per imparare, è più dannosa che inutile per il futuro.
Fuori e dentro lo sport, non si può chiedere ciò che un giovane non può dare, altrimenti non darà neppure ciò che gli sarebbe possibile.
Il rendimento è lucidità, padronanza della situazione, entusiasmo libertà di creare e di fare, assenza di tensione.
Il giovane deve prima impadronirsi del gesto che gli è possibile, e solo dopo che avrà acquisito armonia e la padronanza del proprio corpo, lo potrà portare verso il gesto del campione.
In talento si scopre nel gioco libero, con poche regole e un allenatore che non vuole continuare a giocare lui.
L’adulto è un modello nel bene come nel male: non possiamo pensare che i nostri modi restino un messaggio inerte.
La mente va trattata e sviluppata secondo i principi che la regolano, altrimenti non risponde o dà risposte imprevedibili.
Il talento non può essere formato per fare meglio ciò che fanno tutti, ma per fare ciò che sa fare solo lui.
Lo sportivo è sviluppo e sintesi di qualità fisiche, tecniche, intellettive, di personalità e di carattere.
Parlare “A” e Parlare “Con”, ovvero poter lavorare con tutti i livelli dell’intelligenza.
Come correggere senza punire, e come imparare dall’errore.
I livelli e l’uso della mente: un allenatore deve saper lavorare sui livelli superiori.
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