Dopo una partita di calcio in una località di vacanza, i genitori di un bambino al quale “non era stata passata la palla” schiaffeggiano il “colpevole”.
Probabilmente la storia non è completa e magari le responsabilità vanno distribuite meglio, ma offre spunti che non hanno bisogno di spiegazioni. In ogni caso, povero bambino! Non lo schiaffeggiato, l’altro.
Perché questi comportamenti? Innanzitutto, viene da pensare che questi genitori abbiano bisogno di non sentirsi dei nulla, debbano lavare un’offesa che li può esporre a un giudizio o fornire a tutti prova del loro “coraggio”. Che siano quindi ossessionati dal desiderio di mettere in mostra il loro valore, ma non ne abbiano i mezzi, e cerchino di farlo attraverso il figlio. Oppure, che il figlio debba vivere di pura felicità, e non sia mai turbato dalle delusioni, perché potrebbe essere frenato nella sua corsa verso le posizioni vietate a loro. O che lo difendano in modi sproporzionati perché lo considerano debole e vulnerabile, e vogliano costruirgli un’autostima a prova di ostacoli e di giudizi, ma l’autostima creata dagli altri scoraggia, perché rivela la loro incapacità a costruirsela da soli.
Può sembrare un fatterello da nulla, ma consideriamo che chi fa qualcosa oggi lo ha già fatto e lo rifarà, e quindi che il comportamento educativo di questi genitori si sviluppi secondo questi principi e abbia già creato condizioni definitive e dure da correggere.
Proponiamo qualche ipotesi sullo sviluppo di questo bambino. Pensiamo che creda ai genitori.
Si sentirà libero di fare qualsiasi cosa, sempre in attesa di qualcuno che lo giustifichi e avvalli i suoi comportamenti, ed è chiaro che in questi casi mancano la capacità di essere responsabili e la maturità per capire e rispettare le esigenze degli altri. Ed è anche chiaro che gli altri non sono disarmati, e con chi pretende senza saper fare e senza dare, avranno sempre vita facile. Fuori dalla famiglia troverà altri, i “cattivi”, che non saranno così disposti a subire, perché, per capire gli effetti dei propri comportamenti, occorre possedere almeno un po’ di senso critico che la protezione non lascia sviluppare.
Può diventare un bullo e un violento, un soggetto che soffre il disagio di non possedere nulla di proprio per contare in qualche modo se non facendo valere la forza del gruppo e, come i genitori, essere tanto vile da sfidare senza rischio solo chi è più debole o non può reagire.
Magari penserà di fare il “giustiziere” che considera tutti vittime o oppressori, e viversi di conseguenza. Il concetto sembra astruso? Proviamo a pensare a tanti “nobilissimi d’animo” che giustificano e autorizzano a tutto, e quindi non chiedono responsabilità a quelli che proteggono e sui quali, spesso, ci campano.
E se diventasse un insicuro che si ritira perché non osa avventurarsi dove non c’è qualcuno che lo porta per mano? Ricordiamo che, quando vogliamo nostro figlio sempre vincitore con ogni mezzo, lo possiamo rendere pericolosamente arrischiato e temerario o autorizzare a qualsiasi scappatoia, ma gli diciamo anche che lo aspettiamo a prove fuori della sua portata che lo scoraggiano e lo allontanano anche da quelle possibili.
E se imparerà a giocarsi qualsiasi situazione o rapporto solo per vincere? Userà trucchi, furberie o arroganza, ma starà fermo, non evolverà, e non arriverà mai al suo talento anche fuori dello sport.
E come potrà finire per i genitori? Chi assume comportamenti deplorevoli nei confronti degli altri autorizza i figli a imitarli, ma si deve preparare a subirne le conseguenze. È frequente essere le prime vittime, perché la protezione senza chiedere responsabilità diventerà servilismo fino a non bastare più, e perché il figlio che non impara a rispettare gli altri da bambino, non lo imparerà dopo, neppure nei confronti dei genitori.
L’augurio a questo bambino è che non assuma i genitori come modello, anche se in questo modo li valuterà, e che trovi altre figure adulte, dagli insegnanti a chiunque altro, in grado di fargli vivere un modello educativo equilibrato.
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