La perfezione del gesto, l’organizzazione dell’esercizio e giocatori che si muovono all’unisono: una coreografia che popola la mente di ogni allenatore di ogni ordine e grado.
L’inganno dell’ordine: l’allenamento di pallacanestro come un saggio di danza.
Nella pallacanestro giovanile, si aspira spesso a perseguire l’ordine prima di tutto, come unica asettica via per insegnare senza apparente dispersione di energie e concentrazione.
Del resto, ogni coach ha negli occhi un modello idealizzato che vorrebbe vedere realizzarsi attraverso i propri insegnamenti e la propria guida.
Le personalità di quasi tutti gli allenatori sono in fondo appagate dall’organizzazione perfetta di un esercizio, dal rispetto delle regole di rotazione delle file, dal tempismo con il quale i giovani atleti si muovono all’interno di un meccanismo che porta all’esecuzione di un fondamentale del gioco o di una situazione.
I postulati del gioco (spazio, tempo, autonomia, collaborazione ed equilibrio) vengono così piegati alla volontà dell’ideale perfetto: una sorta di catena di montaggio, una meccanismo che replica sistematicamente l’ordine prestabilito sulla carta. Tante volte funziona. Ma in allenamento.
Perché c’è un momento in cui la meravigliosa struttura tende a crollare e a perdere certezze: è il momento in cui l’esercizio lascia lo spazio al gioco. La pallacanestro è per definizione uno sport di situazione, nel quale le innumerevoli variabili imposte dalle scelte altrui obbligano a reagire di conseguenza, innescando le famose “letture”.
Molti di noi allenatori a quel punto si trovano in difficoltà con il perdersi di quella coreografia perfetta raggiunta in allenamento di fronte al disordine obbligato dall’agonismo e dalle variabili: le certezze date dall’ordine spariscono e i giocatori, da perfetti ballerini, si trasformano in naufraghi nella tempesta. L’organizzazione ideale finisce per incepparsi e svaniscono tutte le sicurezze alle quali aggrapparsi.
Ecco come allora quell’ordine raggiunto nelle esercitazioni appare in tutto il suo inganno. I giovani giocatori, di fronte alle file perfettamente organizzate, ai “via” dati a comando e alle ripetizioni di gesti in spazi predeterminati sono perfetti esecutori di un ideale il più delle volte irraggiungibile.
Si rischia quindi di perdere l’occasione di lasciarli fronteggiare le esigenze del disordine, all’interno del quale, se accompagnati e non governati, saranno invece costretti a collaborare per non scontrarsi, a ricercare costantemente l’equilibrio del corpo per reagire alle situazioni.
L’apparente disordine – accompagnato da sana pazienza - porterà invece i ragazzi all’essere autonomi nell’individuare quale fila riempire così come a trovare i giusti tempi e spazi per l’esecuzione del fondamentale richiesto.
Quell’ordine tanto ricercato non sarà perciò imposto dall’esterno, ma saprà nascere dagli stessi allievi che potranno così essere più abili nel destreggiarsi di fronte alle molteplici situazioni che il campo riserverà loro.
Andrea Manetta
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