Il collettivo non è un semplice metodo di gioco che si può studiare a tavolino né la fedele applicazione di insegnamenti, ma una somma di conoscenze, interventi e attenzioni che interessano la personalità, il carattere e la mente. In pratica, è un carattere dello sportivo che si forma dall’ingresso nello sport, fino ad arrivare un modo di essere, pensare e agire stabile.
Gli ostacoli al collettivo
Prevale ancora il metodo “addestramento, ripetizione ed esecuzione”, e il primo ostacolo al collettivo è una formazione uniforme che non considera i caratteri del singolo, tratta tutti come fossero uguali e, quindi, non è esercizio d’iniziativa e libertà creativa, che sono, invece, tratti del tutto individuali. Ognuno è diverso dagli altri e va trattato come tale, che non vuole dire insegnare in tanti modi diversi quanti sono gli allievi, ma cercare le opinioni di tutti e farli partecipare alle decisioni anche solo spiegandole. In questo modo, ognuno si presenta e si fa riconoscere, assorbe le opinioni degli altri e insieme le sviluppano. In questo modo si creano le condizioni per il collettivo, dove ognuno può offrire il contributo al quale gli altri sanno come rispondere.
La specializzazione precoce abitua ognuno a dedicarsi a compiti e ruoli, e a copiare gesti per i quali non è ancora pronto, e senza sapere interagire. E pretende che giochi e collabori con gli altri in un’età in cui il bambino è tipicamente “egoista”, cioè gioca per sé e non sa partecipare alle loro iniziative. A parte che imparare gesti comandati e non lasciare che un bambino si abitui a creare quello per lui più naturale di fronte a situazioni sempre nuove, significa abituarlo a eseguire e a non cercare la propria. Oltre che essere un freno alla scoperta del proprio talento, inoltre, la specializzazione precoce costringe a fare da soli, e non abitua a cooperare e sommare i contributi. Il collettivo, invece, richiede la preparazione a capire tutto ciò che accade in una gara di squadra, a prevedere ciò che potrà e vorrà fare il compagno in qualsiasi ruolo e a rispondere.
L’agonismo esasperato e prematuro ha l’obiettivo di vincere magari senza badare ai modi, ma è un freno alla scoperta e allo sviluppo del talento, e si accompagna sempre alla paura di perdere. Sembra impensabile che un atteggiamento che dovrebbe procurare decisione e coraggio si possa anche trasformare in uno stimolo negativo. Questo tipo di agonismo obbliga a neutralizzare le iniziative dell’avversario più che imporre le proprie; di usare gesti già collaudati invece di impiegare quelli originali e imprevisti che consente il proprio talento; e di dirigere l’attenzione su uno spazio ridotto per neutralizzare l’avversario e, quindi, sulla situazione e non su un progetto comune per imporre il proprio gioco.
Nell’agonismo esasperato si gioca per non sbagliare, ma cercare di evitare l’errore è come sforzarsi per togliersi dalla testa una paura o anche soltanto una canzoncina. Pensiamo a quando camminiamo su un burrone: ci irrigidiamo per evitare di precipitare e, immaginando di poterlo fare, diamo un comando paradossale che contrae proprio i muscoli che provocano la caduta.
S'insegnano i gesti e si danno le soluzioni già pronte, ma non si lascia spazio per trovarle da soli, che è il modo per scoprire il talento. E si ostacola il collettivo, che non è l’applicazione di un programma, ma l’invenzione e la previsione di ciò che si vuole che accada. Soggetti preparati a essere puri esecutori e non allenati al pensiero creativo comune non possono che giocare per se stessi e per evitare l’errore, mentre il collettivo è anche rischio di sbagliare, perché in ogni azione si cerca il nuovo e l’imprevedibile.
L’assillo della vittoria comunque ottenuta, la condanna per la sconfitta e l’apprezzamento per il risultato e non per la prestazione impongono di non sbagliare e a pensare ognuno a se stesso, mentre il collettivo richiede sempre nuove iniziative comuni anche esposte all’errore. È ovvio che in un collettivo collaudato le iniziative sono coordinate e difficilmente espongono all’errore, perché si sa che cosa faranno i compagni che, in caso di una proposta di gioco fallita, concorreranno a rimediare a eventuali conseguenze e passeranno subito a crearne un’altra. A tutto questo si arriva se già dalla formazione si abituano gli allievi a pensare insieme, a venirsi in aiuto in caso di necessità, a sapere che anche un eventuale errore non sarà causa di disapprovazione, ma un’iniziativa non capita e motivo per cercare una nuova soluzione.
Dell’argomento occorrerà ancora parlare, perché una famiglia nella quale si è abituati a fare insieme e condividere, una classe in cui s’impara insieme e lo sport come è descritto sono collettivi che possono stare sotto le stesse regole.
Vincenzo Prunelli
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