Che cosa faccio con un allievo che considera l’allenamento una seccatura da evitare? Io sono nello sport giovanile, ma anche tra gli adulti o, addirittura, tra i professionisti, c’è qualcuno che crede di poterselo permettere.
Chi sottovaluta l’allenamento
Un atleta che può dare un buon apporto non partecipa con continuità agli allenamenti o arriva in ritardo, e ogni volta inventa una scusa. Dovrebbe essere escluso dalla gara per fare posto a chi, invece, è sempre presente, ma è più utile, e per la gara conviene averlo in campo. L'allenatore non ha stabilito regole che valessero sempre e per tutti, e decide di caso in caso, ma sempre secondo la convenienza del momento. Si giustifica dicendo che tra i dilettanti si gioca per divertirsi, non è necessario essere sempre preparatissimi e il ragazzo è ben visto dal gruppo e, quindi, è il caso di essere più elastici, ma quelli che stanno fuori non sono d'accordo. E intanto non inventa neppure qualche conseguenza, come il fargli recuperare il tempo di allenamento perduto mentre gli altri sono già sotto la doccia, che gli leverebbe il vantaggio di fare quello che crede gli debba essere permesso. Presto qualcuno inventerà qualche altro tipo di trasgressione per provare se anche con lui l'allenatore chiuderà un occhio, altri avanzeranno nuove richieste e altri ancora si ribelleranno perché si sentiranno trattati ingiustamente, mentre il ragazzo tenderà a dilatare di più i ritardi, perché la trasgressione che non aumenta perde gusto.
In ogni caso, se non indagherà i motivi di questi comportamenti e non stabilirà regole uguali per tutti, in modo da non dover decidere di volta in volta e comportarsi da debole o da autoritario, dovrà gestire il malcontento. E non sarà facile, perché, se essere permissivi fa perdere autorità, esserlo per il risultato e nei confronti di un ragazzo che ricatta e impone è sempre una debolezza.
È anche debolezza lasciar correre sperando che chi trasgredisce si ravveda e torni nei ranghi da solo, oppure perdere d'improvviso la pazienza e tentare di recuperare con le maniere forti. I due tipi d’intervento sono troppo distanti da ogni normalità per non creare confitti e ritorsioni. Un cattivo comportamento non corretto, infatti, diventa un'abitudine consolidata, mentre l'autorizzazione a non stare nelle regole fa perdere autorità di fronte a chi trasgredisce e la stima degli altri, che pretenderanno anche loro di essere in qualche modo "perdonati" e di spostare sempre più in là il limite di ciò che è lecito. Mentre un improvviso cambiamento dalla carota al bastone sa tanto di mancanza di autorità da stimolare reazioni ancora più decise, perché il debole che pretende di usare le maniere forti è ancora più disarmato.
L'attesa che un giovane che trasgredisce in un’attività che si esercita per piacere alla fine si corregga da solo è un controsenso. Se è un bambino, forse non comprende i perché dei propri comportamenti, e anzi, poiché glieli permettono, è anche convinto che siano leciti. Mentre il ragazzo, che ha già uno stile di vita più definito, può rendersene conto, ma non avere pratica di altri comportamenti più adulti non essere abbastanza responsabile da adottarli o prenderci l’abitudine al punto di non avere nessuna intenzione di correggerli. Oppure, come capita al viziato, può essere convinto che anche le condotte meno accettabili siano un diritto, e le difende con coerenza.
Bisogna anche chiedersi se l’allenamento non sia troppo pesante, come avviene quando si crede ancora che lo sport debba essere sacrificio che tempra il carattere e non piacere che rende accettabile anche lo sforzo, come dice un allenatore di cui si è già parlato: “Basta giocare, adesso è ora di lavorare”. Non sia troppo monotono, sempre uguale e privo di fantasia, perché la ripetizione degli esercizi soliti non stimola la creatività e la ricerca di soluzioni nuove, che sono stimoli naturali all’iniziativa. E non sia un continuo rimprovero per le esecuzioni comandate e non, invece, l’accettazione dell’errore nella ricerca del nuovo e dell’iniziativa più funzionale.
Vincenzo Prunelli
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