I metodi che forniscono soltanto informazioni e modelli rigidamente delimitati e prestabiliti escludono critica, intesa e cooperazione, e non offrono L'opportunità di ascoltare L’ascolto, però, non è soltanto lasciar parlare, ma capire i problemi e scoprire le soluzioni, apprezzare il giovane per le intenzioni e i tentativi per essere concreto, non farsi condizionare dai risultati immediati, e aiutarlo a trovare la propria soluzione. 

Il dirigente del Cagliari non è un bieco oppressore, e forse è soltanto quello che “se giocassi io darei sangue per vincerle tutte e onorare la maglia”, oppure vuole solamente dire di non avere responsabilità o mostrare grande determinazione. Non sappiamo se i giocatori del Cagliari non siano veri professionisti, giochino male volutamente, stiano tramando qualcosa contro la società, o magari abbiano già accordi con un’altra. Lasciamo perdere le ipotesi complottiste, e non perché non ci possa essere qualcosa di vero, ma perché quello usato non è il metodo migliore per risolverle.

Le motivazioni sono stimoli più efficaci di ordini, minacce e punizioni, perché sono impulsi naturali, la realizzazione di un desiderio o, anche, di una necessità, perché soddisfano il bisogno di procedere verso la vita adulta. Non stimolano reattività, perché lasciarle esprimere è considerazione verso il giovane e riconoscimento della capacità di essere costruttivo e responsabile. Non tutti gli adulti cadono in questi equivoci e tanti giovani percorrono un’infanzia che si potrebbe dire “fisiologica”, ma ci si deve interessare dei casi in cui non avviene nulla, ma qualcosa si può fare.

La condizione che regola la performance può essere descritta anche come una concentrazione che si mantiene attiva per tutta la gara. Non è una specie di portafortuna, una suggestione o un semplice condizionamento che si recita prima dell’inizio, tipo certi cerimoniali come l’urlo di gruppo, le danze del rugby in Nuova Zelanda o gesti comuni che, in ogni caso, sono utili e fanno sentire uniti. Si tratta di creare uno stato mentale che porti a una condizione psicologica e fisica che si mantenga stabile o si possa richiamare durante la gara. L’allenatore non può proporla ogni volta, perché ognuno l’ha già vissuta, ma deve insegnare a recuperarla a ogni gara.

Nella famiglia, nello sport e meno nella scuola, s’insegna soprattutto ad assimilare e ripetere nozioni e ed eseguire comandi senza commettere errori, ma è un limite.

Ognuno è diverso, e ha mezzi e qualità che soltanto lui può scoprire quando affronta situazioni complesse che non conosce, e ha bisogno di un insegnamento e di richieste adatte. La famiglia, quando può, dà soluzioni pronte per avvantaggiare i figli, la scuola spesso si accontenta che gli allievi capiscano invece di insegnare a fare da soli, e lo sport crede che il talento sia nelle abilità, e non nel loro uso ingegnoso.

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